PANTHEI FIDELISSIME DIMENSI EXTERIOR ET INTERIOR PARS EX ANTIQVO ROMANO SVIS OMNIBVS NVMERIS ABSOLVTA

Riferimento: S40234
Autore Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO
Anno: 1553
Zona: Pantheon
Misure: 470 x 360 mm
1.800,00 €

Riferimento: S40234
Autore Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO
Anno: 1553
Zona: Pantheon
Misure: 470 x 360 mm
1.800,00 €

Descrizione

Spaccato del Pantheon.

Bulino, 1553, firmato e datato in basso a sinistra: «ANT[ONIVS] LAFRERII ROMAE ∞ D L III». Opera parte dello "Speculum Romanae Magnificentiae”.

Opera anonima attribuita a Nicolas Beatrizet (cfr. Bianchi 2004, p. 10, n. D33, Marigliani II.44).

Esemplare nel secondo stato di quattro, con l’indirizzo del Lafreri e la data 1553.

Iscritto in alto al centro: «PANTHEI FIDELISSIME DIMENSI EXTERIOR ET INTERIOR PARS EX ANTIQVO ROMANO SVIS OMNIBVS NVMERIS ABSOLVTA» [immagine dell’esterno e dell’interno del Pantheon, completa di tutti i suoi numeri [presi] dal[l’edificio romano antico].

Misure in «palmi» ai lati sinistro e destro, sulla prima colonna frontale a sinistra, sulla base della cupola.

La stampa rappresenta uno spaccato del Pantheon, tratto da un primo studio dell’architetto Domenico Giuntalodi (1501- 1560), che era stato edito da Antonio Salamanca. Del monumento sono riportate le misure, dal momento che il Pantheon consentiva un accesso più facile che non gli archi di trionfo, in buona parte interrati. Del resto anche il Serlio, nell’illustrare lo spaccato del Pantheon, è in grado di scrivere: «Questa seguente figura dimostra la parte interiore del Pantheon, la qual forma è tolta dalla rotondità perfetta, percioche tanto è la sua latitudine da muro a muro, quanto è dal pauimento fin sotto l’apertura, che come ho detto piu adietro, e per diametro palmi CXCIIII, & è tanto dal pauimento alla sommità dell’ultima cornice, quanto da quella alla sommità della uolta dove è l’apertura. Le riquadrature che sono in essa uolta, o uogliam dire Cielo, sono tutte nel modo ch’è quel di mezo, & è opinione che fussero ornati di lame di argento lauorato, per alcune uestigie, che ancora si ueggono, perche se di bronzo fussero stati tali ornamenti; per le ragioni dette piu ora dietro sariano stati spogliati gli altri bronzi, che ancor sono nel portico. Non si marauigli alcuni se in queste cose che accennano alla prospettiua, non ui si uede scortio alcuno, ne grossezze, ne piano, percioche ho uoluto leuarle dalla pianta dimostrando solamente le altezze in misura, accioche per lo scorticare le misure non si perdano per causa de i scorzi: ma ben poi nel libro di prospettiua dimostrerò le cose ne i suoi ueri scorzi in diuersi modi, in superficie, & in corpi in uarie forme, e gran copia di uarii casamenti pertinenti a tal arte, ma nel dimostrare queste antiquità per seruare le misure non usarò tal arte. Dalla cornice in giù non dirò hora le misure delle cose, perche piu auanti a parte per parte dimostrerò le figure, e ne darò le misure minutamente».

L’opera appartiene allo Speculum Romanae Magnificentiae, la prima iconografia della Roma antica. 

Lo Speculum ebbe origine nelle attività editoriali di Antonio Salamanca e Antonio Lafreri (Lafrery). Durante la loro carriera editoriale romana, i due editori - che hanno lavorato insieme tra il 1553 e il 1563 - hanno avviato la produzione di stampe di architettura, statuaria e vedutistica della città legate alla Roma antica e moderna. Le stampe potevano essere acquistate individualmente da turisti e collezionisti, ma venivano anche acquistate in gruppi più grandi che erano spesso legati insieme in un album. Nel 1573, Lafreri commissionò a questo scopo un frontespizio, dove compare per la prima volta il titolo Speculum Romanae Magnificentiae. Alla morte di Lafreri, due terzi delle lastre di rame esistenti andarono alla famiglia Duchetti (Claudio e Stefano), mentre un altro terzo fu distribuito tra diversi editori. Claudio Duchetti continuò l’attività editoriale, implementando le lastre dello Speculum con copie di quelle “perdute” nella divisione ereditaria, che fece incidere al milanese Amborgio Brambilla. Alla morte di Claudio (1585) le lastre furono cedute – dopo un breve periodo di pubblicazione degli eredi, in particolare nella figura di Giacomo Gherardi - a Giovanni Orlandi, che nel 1614 vendette la sua tipografia al fiammingo Hendrick van Schoel. Stefano Duchetti, al contrario, cedette le proprie matrici all’editore Paolo Graziani, che si associò con Pietro de Nobili; il fondo confluì nella tipografia De Rossi passando per le mani di editori come Marcello Clodio, Claudio Arbotti e Giovan Battista de Cavalleris. Il restante terzo di matrici della divisione Lafreri fu suddiviso e scisso tra diversi editori, in parte anche francesi: curioso vedere come alcune tavole vengano ristampate a Parigi da Francois Jollain alla metà del XVII secolo. Diverso percorso ebbero alcune lastre stampate da Antonio Salamanca nel suo primo periodo; attraverso il figlio Francesco, confluirono nella tipografia romana di Nicolas van Aelst. Altri editori che contribuirono allo Speculum furono i fratelli Michele e Francesco Tramezzino (autori di numerose lastre che confluirono in parte nella tipografia Lafreri), Tommaso Barlacchi, e Mario Cartaro, che fu l’esecutore testamentario del Lafreri, e stampò alcune lastre di derivazione. Per l’intaglio dei rami vennero chiamati a Roma e impiegati tutti i migliori incisori dell’epoca quali Nicola Beatrizet (Beatricetto), Enea Vico, Etienne Duperac, Ambrogio Brambilla e altri ancora.

Questo marasma e intreccio di editori, incisori e mercanti, il proliferare di botteghe calcografiche ed artigiani ha contribuito a creare il mito dello Speculum Romanae Magnificentiae, la più antica e importante iconografia della città eterna. Il primo studioso che ha cercato di analizzare sistematicamente la produzione a stampa delle tipografie romane del XVI secolo è stato Christian Hülsen, con il suo Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri del 1921. In epoca più recente, molto importanti sono stati gli studi di Peter Parshall (2006) Alessia Alberti (2010), Birte Rubach e Clemente Marigliani (2016). Le nostre schede sono elaborazioni ispirate principalmente da queste quattro pubblicazioni, integrate da commenti e correzioni per quanto non ci convince e ci è noto. 


Magnifica prova, ricca di toni, impressa su carta vergata coeva con filigrana “lupo che sorregge uno stemma in un cerchio con corona” (Woodward n. 223), con margini coevi aggiunti, in ottimo stato di conservazione.

Bibliografia
B. Rubach, Ant. Lafreri Formis Romae (2016), n. 262, II/IV; A. Alberti, L’indice di Antonio Lafrery (2010), n. 38, II/IV; Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento (2016), n. II.44; S. Serlio, 1562, p. 9; C. Hülsen, 1921, p. 143, 6, a; M. Rosci, vi, 1983, p. 104; J. Garms, 1995, ii, p. 370; K. Zeitler, 1999, Tav. 7; S. Corsi - P. Ragionieri, 2004, p. 47; F. Lombardo, 2004, p. 48; C. Witcombe, 2008, pp. 143, 148; Bianchi 2004, p. 10, n. D33.

Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO Thionville 1515 circa - Roma 1565

Nicola o Niccolò Beatricetto o Beatrice o Beatici o Beatricius o Nicolas Beatrizet Lotharingus secondo il nome originale dell’incisore nativo nel 1515 c. in Francia a Thionville nella Lorena di cui inciderà la pianta nel 1557-58. Disegnatore e bulinista, Nicola è a Roma dal 1540, o già dal 1532 come supposto dal Gori Gandellini, dove frequenta la scuola di Marcantonio e Agostino Veneziano. Il Beatricetto si dimostra subito abile nel giusto equilibrio delle linee e dei punti e nella resa delle ombre e dei mezzi toni, tanto da divenire il capo degli incisori stranieri e dei vedutisti romani. Influenzato da Agostino Veneziano e da Giorgio Ghisi, il Beatricetto sceglie i suoi modelli in Raffaello e Michelangelo. Dal 1540 il lorenese lavora per Salamanca e dal 1541 fino al 1550 per Tommaso Barlacchi e dal 1548 per Antonio Lafrery che inserirà molte sue incisioni nello Speculum. Incisore di riproduzione per eccellenza, il lorenese traduce opere di Girolamo Muziano, oltre che di artisti minori, con scene sacre e mitologiche, architetture e palazzi secondo il gusto dell’epoca. Il Beatricetto muore a Roma nel 1565. Gli stati del secondo Cinquecento recano i nomi di Claude Duchet ed eredi, Paolo Graziani, Pietro dè Nobili; nel Seicento quelli di Giovanni Orlandi, Philipp Thomassin, Gio. Giacomo dè Rossi “alla pace” e Giovan battista dè Rossi “a piazza Navona”; nel settecento il nome di Carlo Losi. Il Bartsch attribuisce al lorenese 108 stampe; 114 il Robert-Dumesnil, il Passavant 120.

Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO Thionville 1515 circa - Roma 1565

Nicola o Niccolò Beatricetto o Beatrice o Beatici o Beatricius o Nicolas Beatrizet Lotharingus secondo il nome originale dell’incisore nativo nel 1515 c. in Francia a Thionville nella Lorena di cui inciderà la pianta nel 1557-58. Disegnatore e bulinista, Nicola è a Roma dal 1540, o già dal 1532 come supposto dal Gori Gandellini, dove frequenta la scuola di Marcantonio e Agostino Veneziano. Il Beatricetto si dimostra subito abile nel giusto equilibrio delle linee e dei punti e nella resa delle ombre e dei mezzi toni, tanto da divenire il capo degli incisori stranieri e dei vedutisti romani. Influenzato da Agostino Veneziano e da Giorgio Ghisi, il Beatricetto sceglie i suoi modelli in Raffaello e Michelangelo. Dal 1540 il lorenese lavora per Salamanca e dal 1541 fino al 1550 per Tommaso Barlacchi e dal 1548 per Antonio Lafrery che inserirà molte sue incisioni nello Speculum. Incisore di riproduzione per eccellenza, il lorenese traduce opere di Girolamo Muziano, oltre che di artisti minori, con scene sacre e mitologiche, architetture e palazzi secondo il gusto dell’epoca. Il Beatricetto muore a Roma nel 1565. Gli stati del secondo Cinquecento recano i nomi di Claude Duchet ed eredi, Paolo Graziani, Pietro dè Nobili; nel Seicento quelli di Giovanni Orlandi, Philipp Thomassin, Gio. Giacomo dè Rossi “alla pace” e Giovan battista dè Rossi “a piazza Navona”; nel settecento il nome di Carlo Losi. Il Bartsch attribuisce al lorenese 108 stampe; 114 il Robert-Dumesnil, il Passavant 120.