Altro diletto che imparar non trovo

Riferimento: S30516
Autore Pietro TESTA detto "Il Lucchesino"
Anno: 1645 ca.
Misure: 460 x 338 mm
1.800,00 €

Riferimento: S30516
Autore Pietro TESTA detto "Il Lucchesino"
Anno: 1645 ca.
Misure: 460 x 338 mm
1.800,00 €

Descrizione

Un giovane uomo al servizio delle Virtù e della Scienza, nota anche come Altro diletto che imparar non trovo.

Acquaforte, circa 1645-50, firmata in lastra in basso a sinistra. Esemplare nel primo stato di tre, avanti l’indirizzo del Westerouth. Bellissima prova, impressa su carta vergata coeva con filigrana, rifilata alla linea marginale, tracce di pieghe di carta al verso, piccoli restauri perfettamente eseguiti, nel complesso in ottimo stato di conservazione.

Il soggetto di questa stampa, di una complessa allegoria, riflette la concezione del diletto o piacere intellettuale del Testa, nelle sembianze del giovane eroe nudo e puro, che impersona il pittore-filosofo descritto da Vitruvio. Come sottolinea la Cropper, l’ispirazione di questa scena è classica. In particolare, il giovane deriva dalla statua di Mercurio di François Duquesnoy, ed entrambe si rifanno all’Antinoo del Belvedere.

La concezione del diletto qui raffigurata riprende la teoria aristotelica per la quale l’uomo tende alla conoscenza secondo un processo intellettuale che Testa considera assolutamente positivo e puro, lontano dai piaceri mondani e dei sensi, rappresentati dalle figure dei satiri e delle baccanti, sulla destra.
Il Diletto è raffigurato, in posa eroica, ai piedi della statua di Minerva, dea della sapienza, con accanto libri, un globo celeste e una grande tavola di studi planimetrici, in omaggio alla convinzione di Vitruvio per cui lo studio si basa su principi architettonici e matematici.
Il motto Altro Diletto ch’imparar non trovo, che si legge sullo scudo è una citazione colta dal Trionfo dell’Amore di Petrarca, tratta dall’edizione di Vitruvio.

Ad oggi, non sono noti disegni preparatori per quest’incisione, che per stile e padronanza del chiaroscuro è affine alle tavole delle Stagioni e perciò databile intorno al 1644.

La vicenda artistica di Pietro Testa, detto il Lucchesino dalla sua città d’origine, è assai tormentata. Poco o nulla si sa del suo primo apprendistato nella città natale. Arrivato a Roma nel 1629, fu probabilmente dapprima a scuola presso il Domenichino, poi presso la bottega di Pietro da Cortona, suo vero maestro. Il carattere introverso dell’artista gli procurò comunque sempre difficoltà con  i suoi colleghi: il Cortona infatti fu costretto a cacciarlo dalla sua scuola per l’atteggiamento di sprezzante superiorità assunta dall’allievo .

Il Testa frequentò allora la casa del suo primo mecenate, il celebre collezionista Cassiano del Pozzo, per il quale eseguì disegni dall’antico. Fu probabilmente nella sua casa che conobbe il pittore Nicolas Poussin, che influenzerà profondamente la sua arte sia nella sua prima fase di adesione tizianesca  al movimento neo-veneto, sia nel periodo più maturo, a partire dagli anni 1635 in poi, caratterizzati da un intellettualismo classicheggiante.

Resta comunque il fatto che le sue incisioni (che ammontano a 40 tavole circa) furono considerate fin dall’antichità, a partire dal Sandrart e dal Baldinucci, le opere grafiche più importanti del '600 italiano.

Bibliografia

Bartsch, 32; Bellini, 34 I/III; Cropper, n. 101; Massari, Tra Mito e Allegoria, p. 538, 221.

Pietro TESTA detto "Il Lucchesino" (Lucca 1611 - Roma 1650)

La vicenda artistica di Pietro Testa, detto il Lucchesino dalla sua città d’origine, è assai tormentata. Poco o nulla si sa del suo primo apprendistato nella città natale. Arrivato a Roma nel 1629, fu probabilmente dapprima a scuola presso il Domenichino, poi presso la bottega di Pietro da Cortona, suo vero maestro. Il carattere introverso dell’artista gli procurò comunque sempre difficoltà con i suoi colleghi: il Cortona infatti fu costretto a cacciarlo dalla sua scuola per l’atteggiamento di sprezzante superiorità assunta dall’allievo . Il Testa frequentò allora la casa del suo primo mecenate, il celebre collezionista Cassiano del Pozzo, per il quale eseguì disegni dall’antico. Fu probabilmente nella sua casa che conobbe il pittore Nicolas Poussin, che influenzerà profondamente la sua arte sia nella sua prima fase di adesione tizianesca al movimento neo-veneto, sia nel periodo più maturo, a partire dagli anni 1635 in poi, caratterizzati da un intellettualismo classicheggiante. Resta comunque il fatto che le sue incisioni (che ammontano a 40 tavole circa) furono considerate fin dall’antichità, a partire dal Sandrart e dal Baldinucci, le opere grafiche più importanti del '600 italiano. Nelle ultime incisioni l’artista illustra attraverso complesse simbologie a sfondo classicheggiante o mitologico la morale stoica che aveva adottato. Questa concezione pessimistica dell’esistenza e di un dramma cosmico che avvolge l’umanità giustifica la malinconia e la solitudine degli ultimi anni dell’artista, di cui parlano i biografi, e prelude al dramma finale del suicidio del Testa buttatosi nel Tevere nei pressi della Lungara nel 1650.

Bibliografia

Bartsch, 32; Bellini, 34 I/III; Cropper, n. 101; Massari, Tra Mito e Allegoria, p. 538, 221.

Pietro TESTA detto "Il Lucchesino" (Lucca 1611 - Roma 1650)

La vicenda artistica di Pietro Testa, detto il Lucchesino dalla sua città d’origine, è assai tormentata. Poco o nulla si sa del suo primo apprendistato nella città natale. Arrivato a Roma nel 1629, fu probabilmente dapprima a scuola presso il Domenichino, poi presso la bottega di Pietro da Cortona, suo vero maestro. Il carattere introverso dell’artista gli procurò comunque sempre difficoltà con i suoi colleghi: il Cortona infatti fu costretto a cacciarlo dalla sua scuola per l’atteggiamento di sprezzante superiorità assunta dall’allievo . Il Testa frequentò allora la casa del suo primo mecenate, il celebre collezionista Cassiano del Pozzo, per il quale eseguì disegni dall’antico. Fu probabilmente nella sua casa che conobbe il pittore Nicolas Poussin, che influenzerà profondamente la sua arte sia nella sua prima fase di adesione tizianesca al movimento neo-veneto, sia nel periodo più maturo, a partire dagli anni 1635 in poi, caratterizzati da un intellettualismo classicheggiante. Resta comunque il fatto che le sue incisioni (che ammontano a 40 tavole circa) furono considerate fin dall’antichità, a partire dal Sandrart e dal Baldinucci, le opere grafiche più importanti del '600 italiano. Nelle ultime incisioni l’artista illustra attraverso complesse simbologie a sfondo classicheggiante o mitologico la morale stoica che aveva adottato. Questa concezione pessimistica dell’esistenza e di un dramma cosmico che avvolge l’umanità giustifica la malinconia e la solitudine degli ultimi anni dell’artista, di cui parlano i biografi, e prelude al dramma finale del suicidio del Testa buttatosi nel Tevere nei pressi della Lungara nel 1650.