La Calunnia d'Apelle

Riferimento: S46040
Autore Anonimo
Anno: 1580 ca.
Misure: 415 x 310 mm
1.000,00 €

Riferimento: S46040
Autore Anonimo
Anno: 1580 ca.
Misure: 415 x 310 mm
1.000,00 €

Descrizione

Copia nella stessa direzione dell'incisione di Cornelis Cort che deriva da "La Calunnia di Apelle" di Federico Zuccari (Hampton Court Palace).

Bulino, circa 1580, firmato in basso a destra con l’imprint editoriale Rom[a]e apud Phil. Et Io. Turpinu. In alto al centro, con caratteri greci: "Andros dikaiou / karros ouk / Apollutai", nel riquadro in basso a destra della composizione centrale: "Fred. Zuccarus inven", sotto l'immagine quattro righe di versi latini che iniziano con: "Infanda heu scelerum species Calumnia Frausq. ...".

Esemplare nel secondo stato di due, con l’indirizzo degli editori Philip Thomassin e Joan Turpin, attivi a Roma nell’ultimo quarto del XVI secolo.

Nel 1566 Cornelis Cort si stabilì a Roma, dove incise stampe per diversi artisti, tra cui ventiquattro su commissione del notoriamente difficile Federico Zuccaro. La Calunnia, una delle tre filippiche pittoriche di Zuccaro, fu la sua risposta dopo essere stato licenziato nel 1569 come pittore principale del palazzo del cardinale Alessandro Farnese a Caprarola. Esistono due versioni dipinte, una nella collezione reale di Hampton Court Palace e un'altra, leggermente diversa, a Palazzo Caetani, a Roma, a cui Cort aveva probabilmente accesso. John Shearman descrive questa complessa allegoria come "una delle opere profane più interessanti e importanti della seconda metà del Cinquecento".

La Calunnia si basa sull'ekphrasis "Sulla calunnia" dello scrittore romano Luciano di Samosata, che apparentemente descrive un dipinto di Apelle di Cos, un rinomato pittore greco attivo alla fine del IV secolo a.C.. Non è certo, tuttavia, se il dipinto sia realmente esistito o se Luciano lo abbia inventato per la sua ekphrasis, come esercizio retorico. Secondo Luciano, Apelle fu accusato di aver fomentato una ribellione a Tiro e condannato a morte. Un amico dimostrò poi che era impossibile che Apelle fosse coinvolto, e il calunniatore fu venduto come schiavo. Il pittore, tuttavia, rimase indignato e si vendicò dipingendo un quadro allegorico che mostrava Calunnia che inveiva contro il Re, che egli ritraeva con le orecchie di un asino. Forse perché Leon Battista Alberti fece riferimento al testo di Luciano nel suo trattato Sulla pittura (1435), diversi artisti tentarono di "ricreare" con precisione il dipinto di Apelle, mentre Zuccaro adattò liberamente il racconto per vendicarsi del licenziamento. Ad esempio, nel racconto di Luciano la Calunnia, accompagnata dall'Invidia, dal Tradimento e dall'Inganno, trascina via l'artista calunniato; nella versione di Zuccaro, invece, il pittore viene salvato da Mercurio e dall'Innocenza, che regge un ermellino, simbolo di purezza.

I personaggi possono essere identificati con certezza perché nel 1628 il figlio di Federico, Ottaviano, pubblicò una descrizione dettagliata della composizione. A sinistra, il Re dalle orecchie d'asino è messo contro il pittore dal Sospetto e dalla Calunnia con la fiaccola. Di fronte a loro c'è la figura emaciata dell'Invidia, con serpenti nei capelli. Accanto a lei ci sono animali che rappresentano i vizi: una volpe (Crudeltà), un lupo (Malizia), un rospo (Avarizia) e un leopardo (Frode). L'arpia dalle zampe di serpente rappresenta l'Avidità o la Cupidigia, mentre la creatura ibrida in primo piano rappresenta la Perfidia. All'estrema sinistra, la robusta Minerva impedisce al re di liberare la figura incatenata della Rabbia.

Anche la cornice incisa è ricca di significati. Ogni angolo presenta un simbolo di Minerva, la dea della saggezza, che alla fine convincerà il re dell'innocenza del pittore. Nel cartiglio centrale a sinistra, Enea tiene in mano il ramo d'oro che lo ha aiutato nel suo viaggio verso l'Ade; sopra c'è l'emblema di Federico, un pan di zucchero. In basso, Enea è affiancato da un giovane che abbraccia un bue, simbolo della nobile fatica, e da un uomo che spezza un giogo, simbolo della servitù. A destra, Ercole regge la palma della Vittoria mentre impala due mostri, mentre i putti annunciano la fama e la gloria che accompagnano la virtù. La finestra in alto al centro si apre su una scena con contadini che assistono alla distruzione dei loro raccolti, a significare la delusione invece della ricompensa che si aspettavano. In alto, Giunone cavalca il suo carro trainato da pavoni su un mare placido su cui nidificano i martin pescatori (alcioni), a significare i giorni dell'Halcyon o la calma raggiunta dalla Virtù. È affiancata a sinistra da Ercole, che si riposa dalle sue fatiche, e da un giovane che abbraccia un'aquila e un leone, che rappresentano i pensieri virtuosi.

Bellissima prova, impressa su carta vergata coeva, rifilata al rame, minimi restauri nella parte centrale visibili al verso, per il resto in ottimo stato di conservazione. Rara.

Bibliografia

The New Hollstein: Dutch and Flemish etchings, engravings and woodcuts 1450-1700 (211); Bierens de Haan 1948, L'oeuvre gravé de Cornelis Cort, graveur hollandais 1533-1578 (219, copy A); B. Barryte, Renaissance Impressions. Sixteenth-Century Mastre Prints from the Kirk Edward Long Collection, p. 182, n. 60.

Anonimo

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