CASTELLO SANTO ANGELO DI ROMA

Riferimento: S11229
Autore Antonio SALAMANCA
Anno: 1545 ca.
Zona: Castel S. Angelo
Misure: 506 x 354 mm
3.000,00 €

Riferimento: S11229
Autore Antonio SALAMANCA
Anno: 1545 ca.
Zona: Castel S. Angelo
Misure: 506 x 354 mm
3.000,00 €

Descrizione

Bulino, 1545/50 circa, firmato in basso al centro A. S. Excudebat.

Iscritto in alto al centro: CASTELLO SANTO ANGELO DI ROMA.

Esemplare nell’unico stato conosciuto, stampato da Antonio Salamanca.

Magnifica prova, ricca di toni, impressa su carta vergata coeva, con filigrana “rombo con stella a sei punte in un cerchio” (cfr. Woodward 288-294), rifilata ai margini, in ottimo stato di conservazione.

La stampa, sebbene non sia firmata, potrebbe essere incisa da Enea Vico, che realizzò un’altra versione del soggetto per l’editore Tommaso Barlacchi. Non è chiaro se incise prima la lastra per il Barlacchi o questa per il Salamanca. Le due versioni sono in controparte.

“Il foglio documenta la situazione di Castel Sant’Angelo e del ponte che la collegava con l’altra sponda del Tevere al tempo di papa Paolo III Farnese (1534-1549). Sul frontale si vede «Porta Collina sistemata sotto il pontificato di Alessandro VI Borgia (1492-1503) il cui stemma è presente nel coronamento della porta stessa. Questa verrà demolita nella parte superiore nel 1566 e sotto il pontificato di Urbano VIII (1623-1644) verrà eliminata completamente, insieme al torrione di Alessandro VI […] Ferma restando la probabile paternità del disegno da attribuire a Enea Vico, la prima tiratura di questa stampa è controversa: il Vico potrebbe avere inciso una prima lastra con la scritta in basso Castello Santo Angelo di Roma per i tipi di Tommaso Barlacchi (attivo a Roma tra il 1540 e il 1550), ma non è escluso che invece la prima tiratura sia dovuta proprio al Salamanca (l’esemplare qui illustrato) attivo a Roma già a partire dal 1517. Esiste anche un’edizione stampata in controparte segnalata dalla Catelli Isola. Poiché sul pennone del castello sventola lo stemma di papa Paolo III (1534-1549) e considerando che il Vico giunse a Roma nel 1541 per lavorare presso le botteghe di Barlacchi e Salamanca, si può collocare la data dell’incisione tra il 1542 e il 1549. La stampa documenta l’assetto di Castel Sant’Angelo durante il pontificato Farnese: l’incisore pone il punto di vista da Borgo, da cui sono documentati la porta Collina e il torrione cilindrico in asse con il ponte. A sinistra è ritratto il bastione di San Marco con l’inizio del corridoio del Passetto attraverso il quale una processione di prelati lascia il castello per dirigersi a San Pietro” (cfr. Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento).

L’opera appartiene allo Speculum Romanae Magnificentiae, la prima iconografia della Roma antica. La lastra figura nell'Indice del Lafreri al n. 236, descritta come Statua di Laochon in Belvedere.

Lo Speculum ebbe origine nelle attività editoriali di Antonio Salamanca e Antonio Lafreri (Lafrery). Durante la loro carriera editoriale romana, i due editori - che hanno lavorato insieme tra il 1553 e il 1563 - hanno avviato la produzione di stampe di architettura, statuaria e vedutistica della città legate alla Roma antica e moderna. Le stampe potevano essere acquistate individualmente da turisti e collezionisti, ma venivano anche acquistate in gruppi più grandi che erano spesso legati insieme in un album. Nel 1573, Lafreri commissionò a questo scopo un frontespizio, dove compare per la prima volta il titolo Speculum Romanae Magnificentiae. Alla morte di Lafreri, due terzi delle lastre di rame esistenti andarono alla famiglia Duchetti (Claudio e Stefano), mentre un altro terzo fu distribuito tra diversi editori. Claudio Duchetti continuò l’attività editoriale, implementando le lastre dello Speculum con copie di quelle “perdute” nella divisione ereditaria, che fece incidere al milanese Amborgio Brambilla. Alla morte di Claudio (1585) le lastre furono cedute – dopo un breve periodo di pubblicazione degli eredi, in particolare nella figura di Giacomo Gherardi - a Giovanni Orlandi, che nel 1614 vendette la sua tipografia al fiammingo Hendrick van Schoel. Stefano Duchetti, al contrario, cedette le proprie matrici all’editore Paolo Graziani, che si associò con Pietro de Nobili; il fondo confluì nella tipografia De Rossi passando per le mani di editori come Marcello Clodio, Claudio Arbotti e Giovan Battista de Cavalleris. Il restante terzo di matrici della divisione Lafreri fu suddiviso e scisso tra diversi editori, in parte anche francesi: curioso vedere come alcune tavole vengano ristampate a Parigi da Francois Jollain alla metà del XVII secolo. Diverso percorso ebbero alcune lastre stampate da Antonio Salamanca nel suo primo periodo; attraverso il figlio Francesco, confluirono nella tipografia romana di Nicolas van Aelst. Altri editori che contribuirono allo Speculum furono i fratelli Michele e Francesco Tramezzino (autori di numerose lastre che confluirono in parte nella tipografia Lafreri), Tommaso Barlacchi, e Mario Cartaro, che fu l’esecutore testamentario del Lafreri, e stampò alcune lastre di derivazione. Per l’intaglio dei rami vennero chiamati a Roma e impiegati tutti i migliori incisori dell’epoca quali Nicola Beatrizet (Beatricetto), Enea Vico, Etienne Duperac, Ambrogio Brambilla e altri ancora.

Questo marasma e intreccio di editori, incisori e mercanti, il proliferare di botteghe calcografiche ed artigiani ha contribuito a creare il mito dello Speculum Romanae Magnificentiae, la più antica e importante iconografia della città eterna. Il primo studioso che ha cercato di analizzare sistematicamente la produzione a stampa delle tipografie romane del XVI secolo è stato Christian Hülsen, con il suo Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri del 1921. In epoca più recente, molto importanti sono stati gli studi di Peter Parshall (2006) Alessia Alberti (2010), Birte Rubach e Clemente Marigliani (2016). Le nostre schede sono elaborazioni ispirate principalmente da queste quattro pubblicazioni, integrate da commenti e correzioni per quanto non ci convince e ci è noto.   

Timbro di collezione al verso di Jean-Mathieu Bec  (Lugt 1421).

Bibliografia

C. Hülsen, Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri (1921), n. 148/a; Peter Parshall, Antonio Lafreri's 'Speculum Romanae Magnificentiae, in “Print Quarterly”, 1 (2006); B. Rubach, Ant. Lafreri Formis Romae (2016), n. 260, I/II; A. Alberti, L’indice di Antonio Lafrery (2010), n. 36, stato unico; Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento (2016), n. VII.2; cfr. D. Woodward, Catalogue of watermarks in Italian printed maps 1540 – 1600 (1996).

Antonio SALAMANCA (Milano ?, 1478 – Roma, 1562)

Incisore, stampatore e libraio, di origine milanese, si stabilì a Roma prima del 1527 e fu attivo già dal 1519. La sua bottega si trovava all’interno del rione Parione, cuore del mercato libraio romano. Salamanca ebbe il merito di riuscire ad aggiornare la sua produzione ed a stampare quello che il mercato richiedeva al momento, si trattasse di vedute e piante di città, statue antiche, ritratti di personaggi importanti e un numero considerevole di vedute romane. Questi lavoro vennero affidati sia a incisori noti per le loro riconosciute qualità artistiche, sia a nuove figure di giovani incisori. Antonio Salamanca trovatosi a Roma durante il Sacco (1527), ricercaò con molta cura, non solo per fini mercantili, i rami dispersi, restaurando quelli deteriorati e curando la ristampa delle vecchie lastre, permettendo la sopravvivenza fino a noi di importanti opere della tradizione calcografica italiana. I rami di sua proprietà erano passati nelle mani del suo concorrente Antonio Lafréy, già presente sul mercato libraio romano dal 1544, con il quale il Salamanca decise di associarsi nel 1553 dopo diversi anni di accesa rivalità. Presumibilmente i due, una volta in società, unirono tutti i loro rami e la loro raccolta di incisioni per la stampa e per la vendita, rimanendo ognuno proprietario delle proprie cose. Nel 1566 Antonio Salamanca e Antonio Lafrèry pubblicarono “Historia de la compocicion del cuerpo humano” di Joan de Valverde, con tavole incise da Beatricetto, e nel 1560 il Planisfero doppio cuoriforme, opere che in alcune copie presenta il nome del Salamanca sostituito da Lafréry. Del 1555 è una pianta di Roma “ Urbis Romae Descriptio” incisa da Jacob Bos, e pubblicata nelle stesso anno anche da Lafréry. La sua opera maggiore è costituita dalle numerose incisioni che aveva preparato per lo Speculum romanae magnificentiae, pubblicato da Lafrery nel 1575. Salamanca morì verso la metà del 1562 e, secondo accordi stabiliti precedentemente, alla società subentrò il figlio Francesco, ma per ragioni ancora poco chiare essa venne sciolta dopo solo un anno e tutto il materiale fu venduto a Lafréry.

Antonio SALAMANCA (Milano ?, 1478 – Roma, 1562)

Incisore, stampatore e libraio, di origine milanese, si stabilì a Roma prima del 1527 e fu attivo già dal 1519. La sua bottega si trovava all’interno del rione Parione, cuore del mercato libraio romano. Salamanca ebbe il merito di riuscire ad aggiornare la sua produzione ed a stampare quello che il mercato richiedeva al momento, si trattasse di vedute e piante di città, statue antiche, ritratti di personaggi importanti e un numero considerevole di vedute romane. Questi lavoro vennero affidati sia a incisori noti per le loro riconosciute qualità artistiche, sia a nuove figure di giovani incisori. Antonio Salamanca trovatosi a Roma durante il Sacco (1527), ricercaò con molta cura, non solo per fini mercantili, i rami dispersi, restaurando quelli deteriorati e curando la ristampa delle vecchie lastre, permettendo la sopravvivenza fino a noi di importanti opere della tradizione calcografica italiana. I rami di sua proprietà erano passati nelle mani del suo concorrente Antonio Lafréy, già presente sul mercato libraio romano dal 1544, con il quale il Salamanca decise di associarsi nel 1553 dopo diversi anni di accesa rivalità. Presumibilmente i due, una volta in società, unirono tutti i loro rami e la loro raccolta di incisioni per la stampa e per la vendita, rimanendo ognuno proprietario delle proprie cose. Nel 1566 Antonio Salamanca e Antonio Lafrèry pubblicarono “Historia de la compocicion del cuerpo humano” di Joan de Valverde, con tavole incise da Beatricetto, e nel 1560 il Planisfero doppio cuoriforme, opere che in alcune copie presenta il nome del Salamanca sostituito da Lafréry. Del 1555 è una pianta di Roma “ Urbis Romae Descriptio” incisa da Jacob Bos, e pubblicata nelle stesso anno anche da Lafréry. La sua opera maggiore è costituita dalle numerose incisioni che aveva preparato per lo Speculum romanae magnificentiae, pubblicato da Lafrery nel 1575. Salamanca morì verso la metà del 1562 e, secondo accordi stabiliti precedentemente, alla società subentrò il figlio Francesco, ma per ragioni ancora poco chiare essa venne sciolta dopo solo un anno e tutto il materiale fu venduto a Lafréry.