OPVS PRAXITELIS - OPVS FIDIAE

Riferimento: S40230
Autore Antonio LAFRERI
Anno: 1550
Zona: Quirinale
Misure: 495 x 345 mm
1.500,00 €

Riferimento: S40230
Autore Antonio LAFRERI
Anno: 1550
Zona: Quirinale
Misure: 495 x 345 mm
1.500,00 €

Descrizione

Bulino, 1550, firmato e datato in basso al centro: «Ant. Lafrérij Sequani formis R. ∞ DL».

Stato unico. 

Iscritto in basso al centro: «Equitum, in Quirinali, auersa parte, marmorei colossi, Romæ; absolutissima, Praxitelis et Fidiae, manu» [Veduta posteriore dei cavalli, colossi di marmo, al Quirinale, a Roma: di assoluta mano di Prassitele e di Fidia].

L’incisione mostra il cattivo stato di conservazione in cui erano i due colossi prima dei restauri voluti da Sisto V (1585-1590). Manca l’obelisco, recuperato dal Mausoleo di Augusto, che sarà inserito tra i due gruppi marmorei nel 1786 da Carlo Antinori, per volontà di Pio VI (1775- 1799). L’appellativo di Dioscuri si deve al Perrier che nella sua opera sulle statue più ammirate di Roma riportava le discordanti interpretazioni sui due colossi: secondo alcuni si sarebbe trattato di Alessandro e Bucefalo in duplice replica (come ritengono gli incisori di queste stampe cinquecentesche), secondo altri di Castore e Polluce e, infine, dei Dioscuri (vedi schede cat. V.36, V.37). La denominazione di Monte Cavallo data al colle del Quirinale deriva dai due grandi cavalli del gruppo scultoreo. Le statue sono copie romane del II-III secolo di originali greci del V sec. a.C. credute per tanto tempo copie di opere di artisti famosi tanto che sulle base è riportata la scritta “Opus Fidiae” e “Opus Praxitelis” e rappresentano i Dioscuri, i mitologici cavalieri figli di Giove che salvarono l’esercito romano al Lago Regillo.

Sin dal Medioevo tutti i visitatori di Roma hanno potuto ammirarle nello stesso luogo dove sono ancora oggi e proprio per la loro presenza il Quirinale venne chiamato Montecavallo.

La posizione in cui si trovano oggi è quella progettata da Flaminio Vacca per Sisto V, integrata dalle modifiche apportate nel 1783 da Carlo Antinori per Pio VI. Papa Sisto V voleva creare una mostra adeguata per il castello terminale dell’Acqua Virgo e pensò di utilizzare le due statue gigantesche che già si trovavano sulla piazza ed erano poste di fronte al Palazzo Vercelli o della Consulta; volle far girare le statue in modo che chiudessero visivamente lo scenario della Strada Pia – odierna Via XX Settembre – ed affidò l’incarico a Domenico Fontana che arretrò le statue e le mise in posizione frontale al Palazzo del Quirinale e vi pose una fontana davanti. L’ultimo spostamento delle statue fu voluto da Papa Pio VI che fece innalzare tra i due gruppi marmorei l’obelisco che si trovava nel Mausoleo di Augusto; i due gruppi furono divaricati per lasciar posto all’obelisco e davanti fu posta una vasca di granito che proveniva dal Campo Vaccino a raccogliere l’acqua che ricadeva dallo zampillo dell’Acqua Virgo (cfr. Marigliani, nn. V.35-37).

L’opera appartiene allo Speculum Romanae Magnificentiae, la prima iconografia della Roma antica. L'opera figura nell'Indice del Lafreri al n. 230, elencata come "Caualli di Praxitelle et Fidia di forma dinanti et di retro separati sono nel monte Quirinale detto monte Cauallo“.

Lo Speculum ebbe origine nelle attività editoriali di Antonio Salamanca e Antonio Lafreri (Lafrery). Durante la loro carriera editoriale romana, i due editori - che hanno lavorato insieme tra il 1553 e il 1563 - hanno avviato la produzione di stampe di architettura, statuaria e vedutistica della città legate alla Roma antica e moderna. Le stampe potevano essere acquistate individualmente da turisti e collezionisti, ma venivano anche acquistate in gruppi più grandi che erano spesso legati insieme in un album. Nel 1573, Lafreri commissionò a questo scopo un frontespizio, dove compare per la prima volta il titolo Speculum Romanae Magnificentiae. Alla morte di Lafreri, due terzi delle lastre di rame esistenti andarono alla famiglia Duchetti (Claudio e Stefano), mentre un altro terzo fu distribuito tra diversi editori. Claudio Duchetti continuò l’attività editoriale, implementando le lastre dello Speculum con copie di quelle “perdute” nella divisione ereditaria, che fece incidere al milanese Amborgio Brambilla. Alla morte di Claudio (1585) le lastre furono cedute – dopo un breve periodo di pubblicazione degli eredi, in particolare nella figura di Giacomo Gherardi - a Giovanni Orlandi, che nel 1614 vendette la sua tipografia al fiammingo Hendrick van Schoel. Stefano Duchetti, al contrario, cedette le proprie matrici all’editore Paolo Graziani, che si associò con Pietro de Nobili; il fondo confluì nella tipografia De Rossi passando per le mani di editori come Marcello Clodio, Claudio Arbotti e Giovan Battista de Cavalleris. Il restante terzo di matrici della divisione Lafreri fu suddiviso e scisso tra diversi editori, in parte anche francesi: curioso vedere come alcune tavole vengano ristampate a Parigi da Francois Jollain alla metà del XVII secolo. Diverso percorso ebbero alcune lastre stampate da Antonio Salamanca nel suo primo periodo; attraverso il figlio Francesco, confluirono nella tipografia romana di Nicolas van Aelst. Altri editori che contribuirono allo Speculum furono i fratelli Michele e Francesco Tramezzino (autori di numerose lastre che confluirono in parte nella tipografia Lafreri), Tommaso Barlacchi, e Mario Cartaro, che fu l’esecutore testamentario del Lafreri, e stampò alcune lastre di derivazione. Per l’intaglio dei rami vennero chiamati a Roma e impiegati tutti i migliori incisori dell’epoca quali Nicola Beatrizet (Beatricetto), Enea Vico, Etienne Duperac, Ambrogio Brambilla e altri ancora.

Questo marasma e intreccio di editori, incisori e mercanti, il proliferare di botteghe calcografiche ed artigiani ha contribuito a creare il mito dello Speculum Romanae Magnificentiae, la più antica e importante iconografia della città eterna. Il primo studioso che ha cercato di analizzare sistematicamente la produzione a stampa delle tipografie romane del XVI secolo è stato Christian Hülsen, con il suo Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri del 1921. In epoca più recente, molto importanti sono stati gli studi di Peter Parshall (2006) Alessia Alberti (2010), Birte Rubach e Clemente Marigliani (2016). Le nostre schede sono elaborazioni ispirate principalmente da queste quattro pubblicazioni, integrate da commenti e correzioni per quanto non ci convince e ci è noto.  


Bellissima prova, impressa su carta vergata coeva con filigrana "stella nel cerchio", rifilata al rame e con margini coevi aggiunti, tracce di colla visibili la verso e minimi restauri alla piega centrale perfettamente eseguiti, nel complesso in buono stato di conservazione. Rara.

Bibliografia
B. Rubach, Ant. Lafreri Formis Romae (2016), n. 318; A. Alberti, L’indice di Antonio Lafrery (2010), n. 72; Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento (2016), n. V.37; C. Hülsen, 1921, p. 153, 54, A; J. Garms, 1995, Ii, p. 248; C. Marigliani, 2005, p. 30; C. Witcombe, 2008, pp. 122, 126; E. Borea, 2009, I, p. 183; González de Zárate 1992-1996, VII, p. 77, n. 84; McGinniss, Mitchell 1976, n. 414; Bober/Rubinstein 1986, n. 125.

Antonio LAFRERI (Orgelet 1512 - Roma 1577)

Antoine de Lafrery, meglio conosciuto con la forma italianizzata del nome Antonio Lafreri (1512 - 1577), era nativo di Orgelet, come riporta la sua iscrizione sepolcrale, e si trasferì a Roma intorno al 1540, dove lavorò in qualità di mercante ed editore di stampe. La sua bottega in via di Parione per quasi mezzo secolo (1544 - 1577) fu il punto di riferimento per questo tipo di commercio. Lafreri si formò nell’officina di Antonio Salamanca, un milanese che si trasferì a Roma dopo il Sacco del 1527. Già nel 1544 iniziò a pubblicare a suo nome, come dimostrano due stampe: la Colonna Traiana e Il sacrificio di Abele, che recano la sottoscrizione Ant. Lafrerij sequani formis Romae 1544. Non è dimostrabile se sia stato anche incisore, come si potrebbe dedurre da un atto notarile del 23 dicembre 1580, che parla dell’eredità quondam Antonii Lafrerii incisoris e stampatoris in Urbe; in ogni caso, questa attività fu certamente di minore rilevanza in confronto a quella primaria di commerciante e stampatore. Non è un caso, infatti, che quasi tutte le stampe a lui riconducibili siano firmate Antonii Lafrerij formis, espressione che lo qualifica editore e proprietario dei rami, ma non anche incisore. Un avvenimento fondamentale nella carriera del Lafreri è la costituzione, nel 1553, di una società con Antonio Salamanca. È indubbio che Lafreri - dotato probabilmente di maggiore carisma e spirito imprenditoriale - esercitò sempre il ruolo di leader. Alla morte del Salamanca, nel 1562, subentrò il figlio Francesco, ma il sodalizio si sciolse l’anno seguente e i rami del Salamanca furono acquistati da Lafreri per la somma di circa 3.000 scudi. L’editore continuò ad incrementare il suo commercio producendo stampe di soggetto religioso, mitologico e di antichità, ma anche carte geografiche e libri illustrati. Nella bottega al Parione vi passarono i più importanti incisori del tempo: Mario Cartaro, Nicolas Beatrizet, Enea Vico ed altri. Aveva contatti anche con altri centri editoriali: Venezia - come provano sia le richieste di privilegio al Senato, sia la presenza di suoi rami in edizioni veneziane - ma anche Siena. La sua raccolta di carte geografiche, riunita con un frontespizio dal titolo Tavole moderne di geografia, veniva assemblata da o per il singolo cliente; pertanto, le raccolte di carte geografiche lafreriane risultano, per numero, formato e tipologia di stampe, sempre diverse tra loro. Lafreri morì il 20 luglio 1577 e fu tumulato nella chiesa di San Luigi dei Francesi; non avendo lasciato disposizioni testamentarie, il suo patrimonio di rami fu diviso tra i suoi parenti più prossimi, Claudio e Stefano Duchetti, per poi essere acquistati da diversi stampatori.

Antonio LAFRERI (Orgelet 1512 - Roma 1577)

Antoine de Lafrery, meglio conosciuto con la forma italianizzata del nome Antonio Lafreri (1512 - 1577), era nativo di Orgelet, come riporta la sua iscrizione sepolcrale, e si trasferì a Roma intorno al 1540, dove lavorò in qualità di mercante ed editore di stampe. La sua bottega in via di Parione per quasi mezzo secolo (1544 - 1577) fu il punto di riferimento per questo tipo di commercio. Lafreri si formò nell’officina di Antonio Salamanca, un milanese che si trasferì a Roma dopo il Sacco del 1527. Già nel 1544 iniziò a pubblicare a suo nome, come dimostrano due stampe: la Colonna Traiana e Il sacrificio di Abele, che recano la sottoscrizione Ant. Lafrerij sequani formis Romae 1544. Non è dimostrabile se sia stato anche incisore, come si potrebbe dedurre da un atto notarile del 23 dicembre 1580, che parla dell’eredità quondam Antonii Lafrerii incisoris e stampatoris in Urbe; in ogni caso, questa attività fu certamente di minore rilevanza in confronto a quella primaria di commerciante e stampatore. Non è un caso, infatti, che quasi tutte le stampe a lui riconducibili siano firmate Antonii Lafrerij formis, espressione che lo qualifica editore e proprietario dei rami, ma non anche incisore. Un avvenimento fondamentale nella carriera del Lafreri è la costituzione, nel 1553, di una società con Antonio Salamanca. È indubbio che Lafreri - dotato probabilmente di maggiore carisma e spirito imprenditoriale - esercitò sempre il ruolo di leader. Alla morte del Salamanca, nel 1562, subentrò il figlio Francesco, ma il sodalizio si sciolse l’anno seguente e i rami del Salamanca furono acquistati da Lafreri per la somma di circa 3.000 scudi. L’editore continuò ad incrementare il suo commercio producendo stampe di soggetto religioso, mitologico e di antichità, ma anche carte geografiche e libri illustrati. Nella bottega al Parione vi passarono i più importanti incisori del tempo: Mario Cartaro, Nicolas Beatrizet, Enea Vico ed altri. Aveva contatti anche con altri centri editoriali: Venezia - come provano sia le richieste di privilegio al Senato, sia la presenza di suoi rami in edizioni veneziane - ma anche Siena. La sua raccolta di carte geografiche, riunita con un frontespizio dal titolo Tavole moderne di geografia, veniva assemblata da o per il singolo cliente; pertanto, le raccolte di carte geografiche lafreriane risultano, per numero, formato e tipologia di stampe, sempre diverse tra loro. Lafreri morì il 20 luglio 1577 e fu tumulato nella chiesa di San Luigi dei Francesi; non avendo lasciato disposizioni testamentarie, il suo patrimonio di rami fu diviso tra i suoi parenti più prossimi, Claudio e Stefano Duchetti, per poi essere acquistati da diversi stampatori.