San Girolamo penitente

Riferimento: S37777
Autore Pietro TESTA detto "Il Lucchesino"
Anno: 1635 ca.
Misure: 227 x 306 mm
1.500,00 €

Riferimento: S37777
Autore Pietro TESTA detto "Il Lucchesino"
Anno: 1635 ca.
Misure: 227 x 306 mm
1.500,00 €

Descrizione

Acquaforte, 1631 – 1637 circa, monogrammata nell’immagine in basso a sinistra. Primo stato di tre.


Bella prova, impressa su carta vergata coeva, rifilata alla linea marginale, con filigrana "scudo con drago”, rare e lievissime fioriture, alcuni restauri al verso, nel complesso in ottimo stato di conservazione.

Al verso, timbro di collezione simile a Lugt 617.

Questa composizione è strettamente correlata alla versione verticale della versione de "Il Giardino della Carità" nonostante la differenza di soggetto. Testa ha infatti trattato il tema della penitenza di san Girolamo in modo lirico e non c'è alcuna suggestione del deserto che Baldinucci e altri descrivono riferendosi a questa immagine. Anche se il santo guarda sulla croce e si stringe a una roccia, il calamaio e il libro messi da parte, non è immaginato nel deserto, descritto nelle sue lettere, ma siede in un paesaggio assolato e verdeggiante che ricorda più l’Arcadia classica.

I piccoli angeli coronano gioiosamente il leone docile e addormentato con un cappello da cardinale, attributo tradizionale di San Giorgio.

Le linee incise non sono così vicine come nel Giardino della Carità, né i contorni sono così fortemente delineati. Sembrerebbe quindi che San Girolamo sia più vicino a "Tre Santi Lucchesi che intercedono con la Vergine per le vittime della peste”, riferibile al 1630-31. In entrambi i lavori Testa ha tentato di sfruttare la stessa interazione tra il foglio bianco e il tratteggio parallelo, a cui spesso aggiunge tratti curvilinei per ottenere un gioco di luce sulla superficie della carta. Nel disegno preparatorio al Louvre le linee sono molto più nitide, rivelando una stretta affinità con gli studi per Il martirio di Sant'Erasmo.

La vicenda artistica di Pietro Testa, detto il Lucchesino dalla sua città d’origine, è assai tormentata. Poco o nulla si sa del suo primo apprendistato nella città natale. Arrivato a Roma nel 1629, fu probabilmente dapprima a scuola presso il Domenichino, poi presso la bottega di Pietro da Cortona, suo vero maestro. Il carattere introverso dell’artista gli procurò comunque sempre difficoltà con  i suoi colleghi: il Cortona infatti fu costretto a cacciarlo dalla sua scuola per l’atteggiamento di sprezzante superiorità assunta dall’allievo .

Il Testa frequentò allora la casa del suo primo mecenate, il celebre collezionista Cassiano del Pozzo, per il quale eseguì disegni dall’antico. Fu probabilmente nella sua casa che conobbe il pittore Nicolas Poussin, che influenzerà profondamente la sua arte sia nella sua prima fase di adesione tizianesca  al movimento neo-veneto, sia nel periodo più maturo, a partire dagli anni 1635 in poi, caratterizzati da un intellettualismo classicheggiante.

Resta comunque il fatto che le sue incisioni (che ammontano a 40 tavole circa) furono considerate fin dall’antichità, a partire dal Sandrart e dal Baldinucci, le opere grafiche più importanti del '600 italiano.

Bibliografia

Bartsch, 15; Bellini 9; Cropper 8

Pietro TESTA detto "Il Lucchesino" (Lucca 1611 - Roma 1650)

La vicenda artistica di Pietro Testa, detto il Lucchesino dalla sua città d’origine, è assai tormentata. Poco o nulla si sa del suo primo apprendistato nella città natale. Arrivato a Roma nel 1629, fu probabilmente dapprima a scuola presso il Domenichino, poi presso la bottega di Pietro da Cortona, suo vero maestro. Il carattere introverso dell’artista gli procurò comunque sempre difficoltà con i suoi colleghi: il Cortona infatti fu costretto a cacciarlo dalla sua scuola per l’atteggiamento di sprezzante superiorità assunta dall’allievo . Il Testa frequentò allora la casa del suo primo mecenate, il celebre collezionista Cassiano del Pozzo, per il quale eseguì disegni dall’antico. Fu probabilmente nella sua casa che conobbe il pittore Nicolas Poussin, che influenzerà profondamente la sua arte sia nella sua prima fase di adesione tizianesca al movimento neo-veneto, sia nel periodo più maturo, a partire dagli anni 1635 in poi, caratterizzati da un intellettualismo classicheggiante. Resta comunque il fatto che le sue incisioni (che ammontano a 40 tavole circa) furono considerate fin dall’antichità, a partire dal Sandrart e dal Baldinucci, le opere grafiche più importanti del '600 italiano. Nelle ultime incisioni l’artista illustra attraverso complesse simbologie a sfondo classicheggiante o mitologico la morale stoica che aveva adottato. Questa concezione pessimistica dell’esistenza e di un dramma cosmico che avvolge l’umanità giustifica la malinconia e la solitudine degli ultimi anni dell’artista, di cui parlano i biografi, e prelude al dramma finale del suicidio del Testa buttatosi nel Tevere nei pressi della Lungara nel 1650.

Bibliografia

Bartsch, 15; Bellini 9; Cropper 8

Pietro TESTA detto "Il Lucchesino" (Lucca 1611 - Roma 1650)

La vicenda artistica di Pietro Testa, detto il Lucchesino dalla sua città d’origine, è assai tormentata. Poco o nulla si sa del suo primo apprendistato nella città natale. Arrivato a Roma nel 1629, fu probabilmente dapprima a scuola presso il Domenichino, poi presso la bottega di Pietro da Cortona, suo vero maestro. Il carattere introverso dell’artista gli procurò comunque sempre difficoltà con i suoi colleghi: il Cortona infatti fu costretto a cacciarlo dalla sua scuola per l’atteggiamento di sprezzante superiorità assunta dall’allievo . Il Testa frequentò allora la casa del suo primo mecenate, il celebre collezionista Cassiano del Pozzo, per il quale eseguì disegni dall’antico. Fu probabilmente nella sua casa che conobbe il pittore Nicolas Poussin, che influenzerà profondamente la sua arte sia nella sua prima fase di adesione tizianesca al movimento neo-veneto, sia nel periodo più maturo, a partire dagli anni 1635 in poi, caratterizzati da un intellettualismo classicheggiante. Resta comunque il fatto che le sue incisioni (che ammontano a 40 tavole circa) furono considerate fin dall’antichità, a partire dal Sandrart e dal Baldinucci, le opere grafiche più importanti del '600 italiano. Nelle ultime incisioni l’artista illustra attraverso complesse simbologie a sfondo classicheggiante o mitologico la morale stoica che aveva adottato. Questa concezione pessimistica dell’esistenza e di un dramma cosmico che avvolge l’umanità giustifica la malinconia e la solitudine degli ultimi anni dell’artista, di cui parlano i biografi, e prelude al dramma finale del suicidio del Testa buttatosi nel Tevere nei pressi della Lungara nel 1650.