Sacra Famiglia con Angeli

Riferimento: S30501
Autore Pietro TESTA detto "Il Lucchesino"
Anno: 1640 ca.
Misure: 299 x 233 mm
900,00 €

Riferimento: S30501
Autore Pietro TESTA detto "Il Lucchesino"
Anno: 1640 ca.
Misure: 299 x 233 mm
900,00 €

Descrizione

Acquaforte,1640-45 circa, firmato in lastra in basso a sinistra “P. Testa”.

Bella prova impressa su carta vergata coeva, rifilata al margine, in ottimo stato di conservazione.

Il disegno preparatorio per quest’acquaforte è andato perduto, ma le grandi proporzioni e la struttura fisica degli angeli, indicano un’esecuzione ai primi anni del quarto decennio del sec. XVII, vicina a opere quali “Le Stagioni”; “Il Trionfo dell’artista virtuoso sul Parnaso” e alla pala d’altare per S. Martino ai Monti.

Sulla destra, appare la stella araldica di Girolamo Buonvisi che, se non fornisce un’indicazione certa che la stampa sia stata realizzata prima del ritorno del Buonvisi a Lucca, in occasione della morte di papa Urbano VIII nel 1644, supporta comunque la datazione proposta sulla base dell’analisi stilistica.

La storia del miracolo della palma che, durante la Fuga in Egitto, si piega alla volontà del Bambino producendo i suoi datteri per sfamare Giuseppe e Maria, è raccontata nel vangelo dello pseudo Matteo.

L’albero qui rappresentato è un melo che rimanda all’albero della conoscenza e quindi all’albero della vita: Testa quindi riprende ancora una volta il tema sviluppato ne Il sogno di Giuseppe, cioè la Fuga in Egitto come inizio della via Crucis di Cristo.

La vicenda artistica di Pietro Testa, detto il Lucchesino dalla sua città d’origine, è assai tormentata. Poco o nulla si sa del suo primo apprendistato nella città natale. Arrivato a Roma nel 1629, fu probabilmente dapprima a scuola presso il Domenichino, poi presso la bottega di Pietro da Cortona, suo vero maestro. Il carattere introverso dell’artista gli procurò comunque sempre difficoltà con  i suoi colleghi: il Cortona infatti fu costretto a cacciarlo dalla sua scuola per l’atteggiamento di sprezzante superiorità assunta dall’allievo .

Il Testa frequentò allora la casa del suo primo mecenate, il celebre collezionista Cassiano del Pozzo, per il quale eseguì disegni dall’antico. Fu probabilmente nella sua casa che conobbe il pittore Nicolas Poussin, che influenzerà profondamente la sua arte sia nella sua prima fase di adesione tizianesca  al movimento neo-veneto, sia nel periodo più maturo, a partire dagli anni 1635 in poi, caratterizzati da un intellettualismo classicheggiante.

Resta comunque il fatto che le sue incisioni (che ammontano a 40 tavole circa) furono considerate fin dall’antichità, a partire dal Sandrart e dal Baldinucci, le opere grafiche più importanti del '600 italiano.

Bibliografia

Bartsh, 12; Bellini, 27; Cropper, 94

Pietro TESTA detto "Il Lucchesino" (Lucca 1611 - Roma 1650)

La vicenda artistica di Pietro Testa, detto il Lucchesino dalla sua città d’origine, è assai tormentata. Poco o nulla si sa del suo primo apprendistato nella città natale. Arrivato a Roma nel 1629, fu probabilmente dapprima a scuola presso il Domenichino, poi presso la bottega di Pietro da Cortona, suo vero maestro. Il carattere introverso dell’artista gli procurò comunque sempre difficoltà con i suoi colleghi: il Cortona infatti fu costretto a cacciarlo dalla sua scuola per l’atteggiamento di sprezzante superiorità assunta dall’allievo . Il Testa frequentò allora la casa del suo primo mecenate, il celebre collezionista Cassiano del Pozzo, per il quale eseguì disegni dall’antico. Fu probabilmente nella sua casa che conobbe il pittore Nicolas Poussin, che influenzerà profondamente la sua arte sia nella sua prima fase di adesione tizianesca al movimento neo-veneto, sia nel periodo più maturo, a partire dagli anni 1635 in poi, caratterizzati da un intellettualismo classicheggiante. Resta comunque il fatto che le sue incisioni (che ammontano a 40 tavole circa) furono considerate fin dall’antichità, a partire dal Sandrart e dal Baldinucci, le opere grafiche più importanti del '600 italiano. Nelle ultime incisioni l’artista illustra attraverso complesse simbologie a sfondo classicheggiante o mitologico la morale stoica che aveva adottato. Questa concezione pessimistica dell’esistenza e di un dramma cosmico che avvolge l’umanità giustifica la malinconia e la solitudine degli ultimi anni dell’artista, di cui parlano i biografi, e prelude al dramma finale del suicidio del Testa buttatosi nel Tevere nei pressi della Lungara nel 1650.

Bibliografia

Bartsh, 12; Bellini, 27; Cropper, 94

Pietro TESTA detto "Il Lucchesino" (Lucca 1611 - Roma 1650)

La vicenda artistica di Pietro Testa, detto il Lucchesino dalla sua città d’origine, è assai tormentata. Poco o nulla si sa del suo primo apprendistato nella città natale. Arrivato a Roma nel 1629, fu probabilmente dapprima a scuola presso il Domenichino, poi presso la bottega di Pietro da Cortona, suo vero maestro. Il carattere introverso dell’artista gli procurò comunque sempre difficoltà con i suoi colleghi: il Cortona infatti fu costretto a cacciarlo dalla sua scuola per l’atteggiamento di sprezzante superiorità assunta dall’allievo . Il Testa frequentò allora la casa del suo primo mecenate, il celebre collezionista Cassiano del Pozzo, per il quale eseguì disegni dall’antico. Fu probabilmente nella sua casa che conobbe il pittore Nicolas Poussin, che influenzerà profondamente la sua arte sia nella sua prima fase di adesione tizianesca al movimento neo-veneto, sia nel periodo più maturo, a partire dagli anni 1635 in poi, caratterizzati da un intellettualismo classicheggiante. Resta comunque il fatto che le sue incisioni (che ammontano a 40 tavole circa) furono considerate fin dall’antichità, a partire dal Sandrart e dal Baldinucci, le opere grafiche più importanti del '600 italiano. Nelle ultime incisioni l’artista illustra attraverso complesse simbologie a sfondo classicheggiante o mitologico la morale stoica che aveva adottato. Questa concezione pessimistica dell’esistenza e di un dramma cosmico che avvolge l’umanità giustifica la malinconia e la solitudine degli ultimi anni dell’artista, di cui parlano i biografi, e prelude al dramma finale del suicidio del Testa buttatosi nel Tevere nei pressi della Lungara nel 1650.