

Riferimento: | S48428 |
Autore | Maestro B nel Dado |
Anno: | 1530 ca. |
Misure: | 180 x 250 mm |
Riferimento: | S48428 |
Autore | Maestro B nel Dado |
Anno: | 1530 ca. |
Misure: | 180 x 250 mm |
La scena mostra la dea Cibele sul carro, trascinato dai leoni, con un piede appoggiato sul globo, simbolo del mondo.
Bulino, circa 1530, da un disegno di Baldassarre Peruzzi (1481- 1536) conservato al British Museum.
Esemplare nel secondo stato di sei (secondo di tre per Massari), con l’imprint di Antonio Lafreri a destra.
Magnifica prova, ricca di toni, impressa su carta vergata coeva priva di filigrana, con pieni margini su tre lati, rifilata al rame a sinistra, in eccellente stato di conservazione.
Nell'Italia rinascimentale, artisti, mecenati e altre persone colte erano affascinati dai racconti della mitologia classica, che venivano riproposti in nuove edizioni latine e traduzioni in italiano. Spesso gli dèi e gli eroi dei testi antichi venivano adattati a scopi simbolici per trasmettere idee morali o politiche. Cibele era un’antica divinità Anatolica venerata come Dea Madre della natura. Divinità ambivalente che simboleggiava sia la forza creatrice e sia la forza distruttrice della natura. L’origine del suo culto era la Frigia da cui si espanse dopo il VII secolo a.C. nelle colonie greche dell’Anatolia, in Grecia e successivamente a Roma. Cibele è stata generalmente raffigurata seduta su un carro trainato da due leoni che rappresentano i personaggi mitologici di Ippomene e Atalanta, trasformati da Zeus in belve e condannati a trascinare il carro di Cibele come punizione per aver profanato un tempio della dea.
“La stampa, che il Bartsch ritiene invenzione di Giulio Romano, riproduce in controparte il disegno raffigurante Cibele o Roma sul carro trascinato da leoni, già attribuito a Perin del Vaga, considerato, a partire dal Popham, di Baldassarre Peruzzi conservato al British Museum (inv. 1880-5-8-82, mm. 251x204; fig. 21; cfr. Pouncey-Gere, 1962, n. 243). I versi che si leggono sulla incisione confermano tale identificazione, il soggetto è infatti un'allegoria della città di Roma vista nel suo aspetto di dea della fertilità e dell'abbondanza mentre incede sul carro guidato da leoni secondo la poetica descrizione che ne fanno nei loro poemi Ovidio (Fasti, IV,) e Lucrezio (De rerum natura, II). La composizione richiama quella di un antico bassorilievo (L'Altare di Scipione) ora a Villa Albani (Reinach, Reliefs, III, p. 134) sicuramente noto al Peruzzi dal momento che lo ha disegnato nel taccuino di Siena (fol. 57). È pertanto probabile che il disegno di Londra costituisca un modello per l'incisore che nella stessa epoca incide un altro disegno del Peruzzi, l'Ercole che scaccia la discordia dal tempio delle Muse su ordine di Apollo (Bartsch, XV. 17). Baltasar Perutius Senen inuentor è infatti la scritta che appare nell'edizione di Philippe Thomassin di questo rame del Maestro del Dado conservato in Calcografia. Entrambe queste incisioni sono stilisticamente affini per Pouncey-Gere con la serie di quattro stampe realizzate dallo stesso incisore per illustrare la favola di Apollo e Dafne (Bartsch, XV, pp. 196-197) la cui invenzione viene ora assegnata al Peruzzi, smentendo l'attribuzione tradizionale a Giulio Romano. Rispetto al disegno del British Museum il Maestro del Dado ha aggiunto il paesaggio sullo sfondo con i contadini al lavoro e numerosi particolari, diverso e più ornato è il carro su cui appaiono, al posto dei due leoni del disegno, un cinghiale, una lepre, un ariete, un cane e un'aquila, la divinità non è turrita come nel disegno e indossa un abito molto più ricco. È probabile che queste aggiunte siano da attribuire allo stesso incisore fantasioso e interessantissimo interprete di temi mitologici” (cfr. S. Massari, Tra Mito e Allegoria, p. 98).
Bibliografia
Bartsch, Le Peintre graveur (XV.195.18); S. Massari, Tra Mito e Allegoria, pp. 98-99, n. 30 II/III.
Maestro B nel Dado (Attivo a Roma, metà XVI sec.)
Il Maestro del Dado è pittore e incisore della scuola di Marcantonio e attivo a Roma tra il 1532 e il 1550, spesso confuso a torto con il Beatricetto o con il Bonasone. Il Le Blanc ritiene si tratti di un discendente del pittore Bernardo Daddi (1512 ca. – Roma 1570) in base all’iniziale che si legge nell’attributo figurato che sigla le sue stampe, una B segnata su un dado. Diversamente, altri identificano il nostro con Benedetto Verini, figlio naturale o presunto di Marcantonio sciogliendo le iniziali BV che appaiono su alcune sue stampe, mentre per il Bartsch l’ultima lettera potrebbe avere il significato di Veneziano o, più recentemente, ma ancora dubitativamente, con Tommaso Vincidor da Bologna. Incisore di riproduzione di opere altrui, eseguite talvolta su richiesta di Antonio Lafrery, i suoi modelli prediletti sono Raffaello, Peruzzi, Giulio Romano e Tommaso Vincidor.
Al Maestro del Dado vengono assegnate circa 85 stampe dal Malaspina, anche il Bartsch elenca 85 soggetti portati dal Passavant a 89.
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Maestro B nel Dado (Attivo a Roma, metà XVI sec.)
Il Maestro del Dado è pittore e incisore della scuola di Marcantonio e attivo a Roma tra il 1532 e il 1550, spesso confuso a torto con il Beatricetto o con il Bonasone. Il Le Blanc ritiene si tratti di un discendente del pittore Bernardo Daddi (1512 ca. – Roma 1570) in base all’iniziale che si legge nell’attributo figurato che sigla le sue stampe, una B segnata su un dado. Diversamente, altri identificano il nostro con Benedetto Verini, figlio naturale o presunto di Marcantonio sciogliendo le iniziali BV che appaiono su alcune sue stampe, mentre per il Bartsch l’ultima lettera potrebbe avere il significato di Veneziano o, più recentemente, ma ancora dubitativamente, con Tommaso Vincidor da Bologna. Incisore di riproduzione di opere altrui, eseguite talvolta su richiesta di Antonio Lafrery, i suoi modelli prediletti sono Raffaello, Peruzzi, Giulio Romano e Tommaso Vincidor.
Al Maestro del Dado vengono assegnate circa 85 stampe dal Malaspina, anche il Bartsch elenca 85 soggetti portati dal Passavant a 89.
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