Diana e Atteone

Riferimento: S48414
Autore Giulio BONASONE
Anno: 1550 ca.
Misure: 415 x 285 mm
1.900,00 €

Riferimento: S48414
Autore Giulio BONASONE
Anno: 1550 ca.
Misure: 415 x 285 mm
1.900,00 €

Descrizione

Diana, che fa il bagno con due ninfe davanti a una rovina classica, getta l'acqua ad Atteone.

Bulino, circa 1550. Esemplare nel secondo stato, con l’imprint “Ant Lafreri Romae” aggiunto sulla pietra in basso a destra.

Bella prova, impressa su carta vergata coeva con filigrana “tulipani in uno scudo con stella a sei punte” (Woodward nn. 124-125), con ampi margini, in perfetto stato di conservazione.

Si tratta di una stampa d’invenzione basata sull’episodio tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (III, 155), con la rappresentazione del momento dell’inizio della trasformazione di Atteone in cervo e, sul secondo piano, della morte del cacciatore/cervo sbranato dai suoi stessi cani. L’incisione è stata catalogata da Bartsch nel 1813 come “Scuola di Marcantonio Raimondi”, poi nel 1820 è stata assegnata da G. A. Armano a Bonasone. Stefania Massari nel 1983 accoglie questa seconda ipotesi e inserisce l’opera nel catalogo ragionato di Bonasone, proponendo di datare l’esecuzione dell’opera al 1550 circa.

Come detto, il soggetto deriva dal testo delle Metamorfosi di Ovidio (III, 155). L’autore rappresenta contemporaneamente due momenti del mito. Il momento in cui Atteone viene allontanato dalle ninfe di Diana e inizia a tramutarsi in cervo quale punizione per aver osato guardare la dea Diana nuda. Il momento successivo, in secondo piano a sinistra, in cui Atteone-cervo diviene preda della sua stessa muta di cani da caccia. Tema affrontato anche da Parmigianino, Luca Penni e Primaticcio. È un pretesto per una riflessione raffinata sul tema dell’amore che affonda le radici della propria fortuna iconografica nella nudità seducente dei corpi, casta e inevitabilmente fatale. Una riflessione sulle passioni dell’uomo che lo conducono alla rovina: sull’incisione di Renè Boivin derivata dal disegno di Penni sul medesimo soggetto si legge: dominum cognoscite vestrum. Ovidio racconta l’episodio come avvenuto in un bosco naturalmente artificioso con una grotta e giochi d’acqua. Bonasone, come poi Luca Penni, si discosta dal testo e inserisce alcune rovine classiche a formare la grotta e la vasca di Diana. Si tratta probabilmente di un “ammodernamento” dei fatti finalizzato ad inserire la scena in un paesaggio simile alla città di Roma ai tempi dell’esecuzione del bulino. In questo senso il foglio doveva apparire più interessante per un pubblico che amava raccogliere immagini di statue o architetture classiche o immagini di rovine e antichità romane.

Bibliografia

Bartsch, XV.40.10; Massari, Iulio Bonasone, n. 118.

Giulio BONASONE (Bologna circa 1500 - Roma circa 1580)

Giulio Bonasone, nato a Bologna nel 1510 circa, è incisore a bulino e all’acquaforte oltre che pittore come ricorda il Malaspina includendolo tra gli allievi di Lorenzo Sabbatici. Sono 410 le stampe - quasi tutte conservate all’Istituto per la Grafica di Roma - che la critica recente assegna al Bonasone ampliando il numero indicato dal Bartsch di 354 fogli. Incisore di riproduzione oltre che di invenzione, Giulio inizia la sua attività calcografica intorno al 1531, come risulta dalla data che si legge nella raffaellesca S. Cecilia. Ritenuto un seguace tardivo di Marcantonio Raimondi, il bolognese rivela presto una sostanziale autonomia di visione che lo rende uno degli interpreti più interessanti dell’epoca, tanto che lo stesso Parmigianino gli consegna i disegni per la trasposizione su rame. A Roma dal 1544 fino al 1547 ca., il Bonasone lavora per i più importanti editori – calcografi dell’epoca (Salamanca, Barlacchi, Lafrery) interpretando i soggetti di Michelangelo o di Raffaello e dei suoi principali allievi: Giulio Romano, Perin del Vaga e Polidoro da Caravaggio, in uno stile estremamente personale che si avvale di tratti a bulino spesso combinati all’acquaforte.

Giulio BONASONE (Bologna circa 1500 - Roma circa 1580)

Giulio Bonasone, nato a Bologna nel 1510 circa, è incisore a bulino e all’acquaforte oltre che pittore come ricorda il Malaspina includendolo tra gli allievi di Lorenzo Sabbatici. Sono 410 le stampe - quasi tutte conservate all’Istituto per la Grafica di Roma - che la critica recente assegna al Bonasone ampliando il numero indicato dal Bartsch di 354 fogli. Incisore di riproduzione oltre che di invenzione, Giulio inizia la sua attività calcografica intorno al 1531, come risulta dalla data che si legge nella raffaellesca S. Cecilia. Ritenuto un seguace tardivo di Marcantonio Raimondi, il bolognese rivela presto una sostanziale autonomia di visione che lo rende uno degli interpreti più interessanti dell’epoca, tanto che lo stesso Parmigianino gli consegna i disegni per la trasposizione su rame. A Roma dal 1544 fino al 1547 ca., il Bonasone lavora per i più importanti editori – calcografi dell’epoca (Salamanca, Barlacchi, Lafrery) interpretando i soggetti di Michelangelo o di Raffaello e dei suoi principali allievi: Giulio Romano, Perin del Vaga e Polidoro da Caravaggio, in uno stile estremamente personale che si avvale di tratti a bulino spesso combinati all’acquaforte.