Vero disegno de i luoghi nella Puglia quali sono rovinati o danneggiati dal Spaventoso terremoto, successo quest'anno 1627...

Riferimento: S42251
Autore Mattheus GREUTER
Anno: 1627
Zona: Puglia
Luogo di Stampa: Roma
Misure: 315 x 250 mm
Non Disponibile

Riferimento: S42251
Autore Mattheus GREUTER
Anno: 1627
Zona: Puglia
Luogo di Stampa: Roma
Misure: 315 x 250 mm
Non Disponibile

Descrizione

-          LA PRIMA CARTA SISMICA ITALIANA -

Vero disegno de i luoghi nella Puglia quali sono rovinati e dannegiati dal Spaventoso terremoto successo quest’anno 1627 à 30 di luglio, con mortalità grande [come si fa coniettura] posta 17 millia persone. La città di S. Severo dove de 2000 case una sola è rimasta. Roma M. Greuter con licenza de sup.1627.

Rarissima carta sismica del Gargano e della Capitanata, relativa al terremoto del 1627, incisa e pubblicata da Mattheus Greuter – probabilmente impegnato nella zona per il rilievo del territorio per la sua grande carta dell’Italia (1630) - a stretto giro dell’avvenimento.  

Per l’analisi della mappa ci avvaliamo del saggio sulle carte sismiche di Simonetta Conti (2010). Scrive la Conti: “Il primo terremoto che ha dato vita a una vera e propria carta sismica è quello che colpì l’area della Capitanata nel 1627. Un manoscritto scoperto e studiato da Mario Baratta (1894) illustra con ampia dovizia di particolari il sisma, i “segni premonitori”, il maremoto con la sua onda anomala e soprattutto pone in luce il terribile risultato che il terremoto ebbe sul territorio e sulla sua popolazione.

«Cominciarono ad udirsi, ma leggermente, i terremoti sin dall’anno precedente 1626 in ottobre, novembre e dicembre; in gennaio del 1627, in febbraio, in marzo ed in aprile; non si udirono poi il maggio ed il giugno sino ai 30 di luglio […] Ai 27 di luglio si guastarono le acque dei pozzi e, con meraviglia e stupore di chi le gustava, davano odore sulfureo e grave […] A 30 di luglio dell’anno 1627 […] s’udì muggire la terra non a guisa di un toro, ma di grandissimo tuono, chè non si saprebbe dar altra comparazione, ed appresso si vide ondeggiare la terra a guisa che sogliono l’onde nel maggiore agitamento del mare, in maniera che io ed i miei compagni fummo battuti da quell’impeto di faccia a terra, e, nell’alzarci si sollevò ondeggiando di nuovo la terra, e di nuovo caddimo: ma assai più la terza volta che ondeggiò con maggior rabbia […] Diede poi una scossa sì grande e terribile verso Ostro, che rovinò in un subito tutta la Città […] seguitò poi lentamente il tremare e si vide ingombrata e coperta da una densissima caligine di polvere la Città e così si vide sopra Torremaggiore, San Paolo, Serra Capriola, Apricena e Lesina, con che diedero segno di loro rovina… La mattina seguente i terremoti erano veementi e continui» [Baratta, 1894, pp. 404-408)]. A San Severo «[...] non restò casa o palagio o tempio che non fosse guasto in tutto od in parte da sì crudele rovina […] Fatto con diligenza il numero dei morti, tra uomini, donne e fanciulli si trovò essere stato 800 in circa quello dei cittadini, senza il numero grande dei forastieri, e questo numero sì poco dei morti fu perché, essendo il tempo dell’aja, la maggior parte degli abitanti si trovavano per la campagna […] continuavano e giorno e notte le scosse con spavento indicibile, dubitandosi di nuovi danni; ma nove giorni dopo, la notte del sabato veggente [9 agosto] si fe’ sentire un terremoto tanto terribile e grande che fu poco dissimile dal primo. Questo finì di rovinare la Serra Capriola […] Cadde di Torremaggiore tutta quella parte che conteneva la Terra Vecchia quasi dai fondamenti, e della terra più moderna poche case furono che restarono in piedi […] In questa terra tra uomini, donne e fanciulli, cittadini da 300 in circa ne morirono senza il numero dei forastieri, che non si poté sapere […] Il Casale di San Paolo rovinò tutto dai fondamenti […] e vi morirono più di 350 persone tra grandi e piccole […] Della Serra Capriola dove il terremoto si sentì più acremente che nella suddetta terra, quanto conteneva la Terra vecchia ruinò tutto […] Morirono in questa terra, secondo la più certa relazione, perché è popolarissima, tra uomini e donne e fanciulli, da 2000, senza i forastieri […] Vicino a questi luoghi [Sant’Angelo e Ripalta] fece il terremoto grandissime e profonde aperture, e specialmente sopra la riva del fiume Fortore […] In questi stessi luoghi fece scaturire molte fontane di acque negre, che durarono per più di un mese […] Ruinò Lesina […] in quel luogo così piccolo morirono più di 150 persone. Apricena […] ruinò in maniera che le rovine chiusero tutte le strade e non si vedeva altro che solo una macerie di pietre […] Cadde la bella e forte Torre di Pappacoda, ora detta di Brancia, nelle rive del fiume Candelaro, alle falde del Monte S. Angelo, alla bocca della valle di Stignano […] Non fu in tutto lasciata libera la nobile città di Lucera da questo crudelissimo terremoto, poiché si aprirono, sebbene non ruinarono, i migliori e più comodi palagi. Caddero anche in questo terremoto molte case della terra di Chienti abitata da Albanesi, due miglia lontana da Serra Capriola verso il mare» [Baratta, 1894, pp. 404-408)].

Le fortissime scosse vennero sentite fino a Benevento, mentre sulla costa adriatica furono percepite a Lanciano e a Chieti. Alle scosse di terremoto si unì il fenomeno del maremoto, come riferiscono altre cronache dell’evento. Giovanni Antonio Foglia ricorda che, al momento del terremoto, l’Adriatico all’altezza della foce del Fortore si ritrasse per circa due miglia per poi scatenarsi con violenza sulla costa: «il mare della Riviera di Fortore, e di S. Nicandro se’ ritirò indietro due miglia, e poi uscì fuira lì suoi confini altre due miglia» (Foglia, 1627, pp. 7-8). L’evento sismico dovette essere talmente forte e catastrofico da impressionare non solo i cronisti, ma anche un cartografo dell’importanza di Matteo Greuter (circa 1566-1638) che ne ha lasciato una testimonianza fondamentale. Il disegno di Greuter è conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana [St. Geogr. II. 174]. Il lavoro è stato eseguito dal suo autore con una tale veridicità, che sembra avere rilevato direttamente sui luoghi del disastro gli avvenimenti occorsi, probabilmente in occasione della preparazione della Carta d’Italia, edita nel 1630. La carta di Greuter è citata da Roberto Almagià (1914), come di proprietà di Thomas Ashby, dalla cui biblioteca pervenne in seguito alla Vaticana.

La carta si rivela molto importante per almeno due motivi. Il primo è che illustra, con notizie di prima mano e, quasi in contemporanea, tutta l’area di uno dei più catastrofici terremoti che colpirono la Puglia e le regioni vicine nell’era moderna, e il secondo è che per la prima volta nella carta è inserita una scala dell’intensità del terremoto. Il sisma che colpì la Capitanata, con epicentro a nord-est di San Severo, è stato calcolato della gravità dell’undicesimo grado della scala Mercalli e, come testimoniano tutte le cronache, causò distruzioni totali per quanto riguarda gli abitati e si calcola che fece circa 5.000 vittime. A tutto questo bisogna aggiungere la forte onda di maremoto, che colpì la zona costiera tra Fortore e San Nicandro, nei pressi del Lago di Lesina nel Gargano Settentrionale. La zona, dopo un primo ritiro delle acque, venne completamente sommersa dal mare: cronache dell’epoca riferiscono che la città costiera di Termoli «precipitò» nel mare. Anche altre città furono interessate dall’evento. L’elemento che pone questa carta fra le più importanti per la caratterizzazione dei terremoti è la scala dei valori per le conseguenze del sisma.

Il cartografo ha disegnato 4 simboli per indicare rispettivamente:

tutta rovinata distrutta

la magior parte rovinata

la metà rovinata parte

rovinata o dañegiata

Indicativa della gravità del sisma è anche la vignetta che illustra il Lago di Lesina e i suoi pesci che saltano fuori per la violenza della scossa, anche perché il lago rimase senz’acqua come dice la scritta Lago disecato” (cfr. Simonetta Conti, Il Terremoto Rappresentato, pp. 254-258).

Acquaforte, impressa su carta vergata coeva, con margini, in ottimo stato di conservazione. Si tratta del secondo esemplare noto della carta, appartenuto alla collezione di Fritz Hellwig. Tutte le bibliografie fanno riferimento all’altro esemplare conosciuto, della collezione di Thomas Ashby, oggi alla Biblioteca Apostolica Vaticana.

Bibliografia

Simonetta Conti, Il Terremoto Rappresentato, in “Geostorie”, XVIII (2010), n. 3, pp. 241-287; Rodolfo Zecchi, La sismicita del territorio italiano nelle rappresentazioni cartografiche a media e piccola scala, in “Bollettino dell’Associazione Italiana di Cartografia”, Trieste 2016; R. Almagià, Studi geografici sopra le frane in Italia, in «Memorie della Società Geografica Italiana», Roma, 1907-1910, 3 voll; R. Almagià, Intorno ai primi saggi di carte sismiche, in «Rivista Geografica Italiana», 1914, pp. 463-470; M. Baratta, Il terremoto garganico del 1627, in «Bollettino della Società Geografica Italiana», 1894, pp. 400-415; G.A. Foglia, Historico discorso del gran terremoto successo nel regno di Napoli, nella provincia di Capitanata, di Puglia nel corrente anno 1627 a dì 30 di luglio ad ore 16, Napoli, per Labaro Scoriggio, 1627.

Mattheus GREUTER (Roma 1564 - 1638)

Matthaus o Mathias o Matheus Greuter è disegnatore e intagliatore per il De Angelis. Nato a Strasburgo nel 1564 circa muore a Roma nel 1638 dove è sepolto nella chiesa di S. Eustachio. Lavora per qualche tempo a Lione e ad Avignone prima di recarsi a Roma dove pubblica opere di traduzione e di propria invenzione. La maggior parte delle sue opere sono incise all’acquaforte e terminate a bulino “in buono stile”. Risulta attivo a Roma fino al 1584. Incide al bulino piccole immagini di Santi ed è autore di singolari frontespizi oltre che di carte geografiche e del grande Giudizio Universale. Incide opere di Giovanno Mannozzi, Antonio Pomarancio, Claudio Deronet e assieme a Lucas Vosterman intaglia una bellissima cavalcata di Carlo V.

Mattheus GREUTER (Roma 1564 - 1638)

Matthaus o Mathias o Matheus Greuter è disegnatore e intagliatore per il De Angelis. Nato a Strasburgo nel 1564 circa muore a Roma nel 1638 dove è sepolto nella chiesa di S. Eustachio. Lavora per qualche tempo a Lione e ad Avignone prima di recarsi a Roma dove pubblica opere di traduzione e di propria invenzione. La maggior parte delle sue opere sono incise all’acquaforte e terminate a bulino “in buono stile”. Risulta attivo a Roma fino al 1584. Incide al bulino piccole immagini di Santi ed è autore di singolari frontespizi oltre che di carte geografiche e del grande Giudizio Universale. Incide opere di Giovanno Mannozzi, Antonio Pomarancio, Claudio Deronet e assieme a Lucas Vosterman intaglia una bellissima cavalcata di Carlo V.