La punizione di Tizio

Riferimento: S39266
Autore Antonio LAFRERI
Anno: 1550 ca.
Misure: 418 x 293 mm
Non Disponibile

Riferimento: S39266
Autore Antonio LAFRERI
Anno: 1550 ca.
Misure: 418 x 293 mm
Non Disponibile

Descrizione

Bulino, circa 1550, privo di firma ed indicazioni editoriali. Nel margine inferiore «TITIVS . GIGAS . A . WLTVRE . DIVERSISQ . PENIS . LASERATVS.».

Esemplare nel primo stato, di tre, avanti l’indirizzo di Antonio Lafreri e prima che «LASERATVS» venga corretto in «LACERATVS». Da un disegno di Michelangelo

Magnifico esemplare, ricco di toni, impresso su carta vergata coeva con filigrana “scudo con scala sormontato da una croce”, simile a Briquet 5929, rifilato alla linea marginale, restauri perfettamente eseguiti agli angoli superiori, per il resto in ottimo stato di conservazione.

Scrive Alessia Alberti in “D’Après Michelangelo”, (p. 128, n. 227): “Gli esemplari [di primo stato] esaminati si caratterizzano per una sottile rigatura della superficie che grazie a un’accurata inchiostratura crea un particolare effetto chiaroscurale, a imitazione di quello ottenuto da Marcantonio Raimondi nel Giudizio di Paride abradendo leggermente il metallo con della pietra pomice […]. La matrice di questa stampa è stata di proprietà dell’editore Lafrery, come prova la presenza del suo indirizzo dal II stato. È quasi certo che alla morte di questi toccasse in eredità al nipote Claude Duchet, trovandosi citato nella quota dei beni a lui spettanti «Titio, foglio» (Inventario 1581, EHRLE, 1908, p. 45, riga 185). È altresì plausibile che attraverso il percorso dei rami appartenuti prima a Claude Duchet e poi a Giacomo Gherardi, e recentemente ricostruito da Valeria Pagani, lo stesso pezzo sia da identificare con «Titio magnato dal ucello» che il 17 ottobre 1598 si trovava in casa di Rocco Lucidi, al quale era pervenuto tramite la vedova di Gherardi, Quintilia (PAGANI, 2012, p. 83, n. 103). Occorre tuttavia tenere conto della possibilità che tale descrizione si riferisse invece alla versione [cat. St. 229 Alberti], dove compaiono l’indirizzo di Giovanni Orlandi e la data 1602, anno nel quale lo stampatore romano rilevò proprio da Quintilia Lucidi i rami di provenienza Lafrery-Duchet. Per il fatto però che l’inventario del 1598 risulta generalmente dettagliato e precisa se le matrici erano lavorate su entrambe le facce (PAGANI, 2012, p. 83, n. 75), si può stabilire con un buon margine di sicurezza che il rame in oggetto fosse quello di Lafrery, non essendovi cenno al Ratto di Ganimede presente sul retro di cat. St. 229.”

Come bene evidenzia Claudio Salsi (D’Après Michelangelo pp. 104-105) “Il supplizio del gigante Tizio” secondo l’invenzione grafica di Michelangelo è stato riprodotto nel corso del Cinquecento in tre diverse incisioni, tutte realizzate a Roma, di formato analogo al disegno originale conservato a Windsor (inv. RL. 12771). Le tre versioni – le più antiche delle quali sono curate da Antonio Salamanca e Antonio Lafreri (la terza è invece riferibile alla fine del secolo) non derivano per canali diversi dall’originale, ma una di queste ha costituito il prototipo per le altre: ne sono chiara prova il paesaggio e l’identica iscrizione in latino nel margine inferiore. Non univoca è l’identificazione del prototipo da parte degli studiosi: Heinecken, Bartsch e, in tempi più recenti Suzanne Boorsch, Bruce Davis e Silvia Bianchi, l’hanno identificato nell’edizione di Salamanca il modello e lo stile di Nicolas Beatrizet; al contrario, Stefania Massari e gli autori del catalogo Las Furias (Museo del Prado, 2014) riconoscono il segno di Beatrizet e il modello nell’edizione di Lafreri. Massari sottolinea il legame stilistico e formale con il “Ratto di Ganimede”, tradizionalmente riferito all’artista lorenese.

Claudio Salsi e Alessia Alberti preferiscono, invece, trattare l’incisore come anonimo, pur condividendo che il modello da cui la tradizione incisoria ha preso avvio sia proprio quello di Lafreri.

Va aggiunto, infine, che la data, posizionata in un punto così particolare, è addirittura sfuggita ad alcuni catalogatori.

Opinione personale di scrive, entrambe le versioni sono da attibuire all’artista lorenese, che lavorò per entrambi gli editori e replicò già altri soggetti, realizzandoli prima per il Salamanca e poi per il Lafreri.

Magnifico esemplare.


Bibliografia: Alessia Alberti, D’Après Michelangelo, p. 128, n. 227; VASARI, ed. 1966-1987, V (1984), p. 20; LAFRERY, Indice, c. 5r; B. XV (1813), p. 259, n. 39/A; ZANETTI, 1837, p. 428, n. 1069/copia; LE BLANC, 18541890, I (1854), p. 218, n. 31/copia; ROBERT-DUMESNIL, 1835-1871, IX (1865), p. 153, n. 33/copia; IFF-XVI, I (1932), p. 83, copia; BIANCHI, 2003b, p. 5, n. 33/B; BARNES, 2010, p. 196, n. 84/a; MASSARI, Tra mito e allegoria, p. 226.

Antonio LAFRERI (Orgelet 1512 - Roma 1577)

Antoine de Lafrery, meglio conosciuto con la forma italianizzata del nome Antonio Lafreri (1512 - 1577), era nativo di Orgelet, come riporta la sua iscrizione sepolcrale, e si trasferì a Roma intorno al 1540, dove lavorò in qualità di mercante ed editore di stampe. La sua bottega in via di Parione per quasi mezzo secolo (1544 - 1577) fu il punto di riferimento per questo tipo di commercio. Lafreri si formò nell’officina di Antonio Salamanca, un milanese che si trasferì a Roma dopo il Sacco del 1527. Già nel 1544 iniziò a pubblicare a suo nome, come dimostrano due stampe: la Colonna Traiana e Il sacrificio di Abele, che recano la sottoscrizione Ant. Lafrerij sequani formis Romae 1544. Non è dimostrabile se sia stato anche incisore, come si potrebbe dedurre da un atto notarile del 23 dicembre 1580, che parla dell’eredità quondam Antonii Lafrerii incisoris e stampatoris in Urbe; in ogni caso, questa attività fu certamente di minore rilevanza in confronto a quella primaria di commerciante e stampatore. Non è un caso, infatti, che quasi tutte le stampe a lui riconducibili siano firmate Antonii Lafrerij formis, espressione che lo qualifica editore e proprietario dei rami, ma non anche incisore. Un avvenimento fondamentale nella carriera del Lafreri è la costituzione, nel 1553, di una società con Antonio Salamanca. È indubbio che Lafreri - dotato probabilmente di maggiore carisma e spirito imprenditoriale - esercitò sempre il ruolo di leader. Alla morte del Salamanca, nel 1562, subentrò il figlio Francesco, ma il sodalizio si sciolse l’anno seguente e i rami del Salamanca furono acquistati da Lafreri per la somma di circa 3.000 scudi. L’editore continuò ad incrementare il suo commercio producendo stampe di soggetto religioso, mitologico e di antichità, ma anche carte geografiche e libri illustrati. Nella bottega al Parione vi passarono i più importanti incisori del tempo: Mario Cartaro, Nicolas Beatrizet, Enea Vico ed altri. Aveva contatti anche con altri centri editoriali: Venezia - come provano sia le richieste di privilegio al Senato, sia la presenza di suoi rami in edizioni veneziane - ma anche Siena. La sua raccolta di carte geografiche, riunita con un frontespizio dal titolo Tavole moderne di geografia, veniva assemblata da o per il singolo cliente; pertanto, le raccolte di carte geografiche lafreriane risultano, per numero, formato e tipologia di stampe, sempre diverse tra loro. Lafreri morì il 20 luglio 1577 e fu tumulato nella chiesa di San Luigi dei Francesi; non avendo lasciato disposizioni testamentarie, il suo patrimonio di rami fu diviso tra i suoi parenti più prossimi, Claudio e Stefano Duchetti, per poi essere acquistati da diversi stampatori.

Antonio LAFRERI (Orgelet 1512 - Roma 1577)

Antoine de Lafrery, meglio conosciuto con la forma italianizzata del nome Antonio Lafreri (1512 - 1577), era nativo di Orgelet, come riporta la sua iscrizione sepolcrale, e si trasferì a Roma intorno al 1540, dove lavorò in qualità di mercante ed editore di stampe. La sua bottega in via di Parione per quasi mezzo secolo (1544 - 1577) fu il punto di riferimento per questo tipo di commercio. Lafreri si formò nell’officina di Antonio Salamanca, un milanese che si trasferì a Roma dopo il Sacco del 1527. Già nel 1544 iniziò a pubblicare a suo nome, come dimostrano due stampe: la Colonna Traiana e Il sacrificio di Abele, che recano la sottoscrizione Ant. Lafrerij sequani formis Romae 1544. Non è dimostrabile se sia stato anche incisore, come si potrebbe dedurre da un atto notarile del 23 dicembre 1580, che parla dell’eredità quondam Antonii Lafrerii incisoris e stampatoris in Urbe; in ogni caso, questa attività fu certamente di minore rilevanza in confronto a quella primaria di commerciante e stampatore. Non è un caso, infatti, che quasi tutte le stampe a lui riconducibili siano firmate Antonii Lafrerij formis, espressione che lo qualifica editore e proprietario dei rami, ma non anche incisore. Un avvenimento fondamentale nella carriera del Lafreri è la costituzione, nel 1553, di una società con Antonio Salamanca. È indubbio che Lafreri - dotato probabilmente di maggiore carisma e spirito imprenditoriale - esercitò sempre il ruolo di leader. Alla morte del Salamanca, nel 1562, subentrò il figlio Francesco, ma il sodalizio si sciolse l’anno seguente e i rami del Salamanca furono acquistati da Lafreri per la somma di circa 3.000 scudi. L’editore continuò ad incrementare il suo commercio producendo stampe di soggetto religioso, mitologico e di antichità, ma anche carte geografiche e libri illustrati. Nella bottega al Parione vi passarono i più importanti incisori del tempo: Mario Cartaro, Nicolas Beatrizet, Enea Vico ed altri. Aveva contatti anche con altri centri editoriali: Venezia - come provano sia le richieste di privilegio al Senato, sia la presenza di suoi rami in edizioni veneziane - ma anche Siena. La sua raccolta di carte geografiche, riunita con un frontespizio dal titolo Tavole moderne di geografia, veniva assemblata da o per il singolo cliente; pertanto, le raccolte di carte geografiche lafreriane risultano, per numero, formato e tipologia di stampe, sempre diverse tra loro. Lafreri morì il 20 luglio 1577 e fu tumulato nella chiesa di San Luigi dei Francesi; non avendo lasciato disposizioni testamentarie, il suo patrimonio di rami fu diviso tra i suoi parenti più prossimi, Claudio e Stefano Duchetti, per poi essere acquistati da diversi stampatori.