La Statua del fiume Tevere e del fiume Nilo

Riferimento: S38425
Autore Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO
Anno: 1545
Misure: 540 x 335 mm
Non Disponibile

Riferimento: S38425
Autore Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO
Anno: 1545
Misure: 540 x 335 mm
Non Disponibile

Descrizione

Coppia di incisioni al bulino, 1545, attribuite al Beatricetto. Opere parte dello "Speculum Romanae Magnificentiae” del Lafreri,

Bulino, 1545 circa, in alto a destra una lunga nota latina al lettore con la descrizione della statua, firmata da Antonio Lafreri: ECCE.TIBI.CANDIDE.LECTOR.TIBERIS.FLVVI. SIMVLACHRVM.EID.LVPA. ROMVLVM.REMVM.QVE CONDITOREIS. VRBEIS. LACTANS.INDICAT.DVPLICI.INSIGNE. ET SCVLTVRAE. MAIESTATE. ET.IN.EIVS.FLVMINIS.PROPRIEIS.EXPLICANDEIS. EXCELLENTIA. ....EST AVTEM HOC.EX. ANTIQVO.MARMOREO SIMVLACHRO.QVOD.IN VATICANO.ADHVC.EXTAT.DI LIGENTER.DEFORMATVM. ET IN.HAC.TABELLA.ANT.LAFRERI.AENEIS.FORMIS AD.AMVSSIM EXCVSVM.

Esemplare nel primo stato, di quattro. 542 x 337 mm.

Magnifica prova, impressa su carta vergata coeva con filigrana “tre monti e albero”, rifilata alla linea del rame, in ottimo stato di conservazione.

Attualmente al Louvre, la scultura raffigurante il dio Tevere fu rivenuta nel 1512 tra Santa Maria della Minerva e Santo Stefano del Cacco. La colossale statua fu fatta portate da papa Giulio II nel Belvedere Vaticano a partire dal 1513; fu poi trafugata dai francesi.

Bulino, 1545 circa, in alto a sinistra la lunga dedica al lettore firmata da Antonio Lafrery: VETERUM MONUMENTORUM STUDIOSE LECTOR QUM EXCELLENS ANTIQUOR SCULPTORUM EX HAC TABELLA INGENIUM LAUDAVERIS NATURAE DEINCEPS MIRACULA QUAE IN EA EXCUSA VISUNTUR CONTEMPLARE NILI AEGYPTII AMNIS TOTIUS ORBIS MAXIMI HEIC TINEI SIMULACHRUM PROPONITUR…...ANT LAFRERI AENEA TABULA NUNC PROFERT EX ANTIQUO SIMULACHRO QUOD IN VATICANO ADHUC CONSPICITUR EXACTE EFFIGIATA'.

Esemplare nel primo stato, di tre. 558 x 334 mm.

Magnifica prova, impressa su carta vergata coeva, con filigrana “scudo con stemma papale e giglio”, rifilata al rame, in ottimo stato di conservazione.

La scultura del Nilo fu ritrovata nel 1513 nelle vicinanze di Santa Maria sopra Minerva dove probabilmente decorava il cosiddetto Iseo Campense, dedicato alle divinità egizie Iside e Serapide. Il fiume è raffigurato come un vegliardo disteso su di un fianco, con una cornucopia colma di frutti nella mano sinistra e spighe di grano nella mano destra. La terra d'Egitto è evocata dalla presenza di una sfinge, sulla quale la figura si poggia, e da alcuni animali esotici. La scena è vivacizzata da sedici putti, che alludono ai sedici cubiti d'acqua, cioè il livello raggiunto dal Nilo durante la stagione delle inondazioni. Sul basamento è raffigurato un paesaggio nilotico con pigmei, ippopotami e coccodrilli. È probabile che la scultura si ispiri a una monumentale statua del Nilo in basalto nero, capolavoro della scultura ellenistica alessandrina, che Plinio il Vecchio descrive all'interno del Foro della Pace.

Anche la scultura del Nilo – attualmente nei Musei Vaticani - fu trafugata dai francesi, ma venne restituita nel 1816 grazie all’intervento del cardinale Ettore Consalvi e di Antonio Canova.

L’attribuzione delle due incisioni a Nicolas Beatrizet è generalmente accettata.

Entrambe le incisioni presentano su tre lati una cornice decorativa con scene relative alla vita delle due divinità, rappresentandole come fregi. Le basi su cui i gruppi scultorei sono appoggiate, sono rappresentate da acqua increspata che occupa tutto il bordo inferiore.

Le due tavole appartengono allo Speculum Romanae Magnificentiae, la prima iconografia della Roma antica. 

Lo Speculum ebbe origine nelle attività editoriali di Antonio Salamanca e Antonio Lafreri (Lafrery). Durante la loro carriera editoriale romana, i due editori - che hanno lavorato insieme tra il 1553 e il 1563 - hanno avviato la produzione di stampe di architettura, statuaria e vedutistica della città legate alla Roma antica e moderna. Le stampe potevano essere acquistate individualmente da turisti e collezionisti, ma venivano anche acquistate in gruppi più grandi che erano spesso legati insieme in un album. Nel 1573, Lafreri commissionò a questo scopo un frontespizio, dove compare per la prima volta il titolo Speculum Romanae Magnificentiae. Alla morte di Lafreri, due terzi delle lastre di rame esistenti andarono alla famiglia Duchetti (Claudio e Stefano), mentre un altro terzo fu distribuito tra diversi editori. Claudio Duchetti continuò l’attività editoriale, implementando le lastre dello Speculum con copie di quelle “perdute” nella divisione ereditaria, che fece incidere al milanese Amborgio Brambilla. Alla morte di Claudio (1585) le lastre furono cedute – dopo un breve periodo di pubblicazione degli eredi, in particolare nella figura di Giacomo Gherardi - a Giovanni Orlandi, che nel 1614 vendette la sua tipografia al fiammingo Hendrick van Schoel. Stefano Duchetti, al contrario, cedette le proprie matrici all’editore Paolo Graziani, che si associò con Pietro de Nobili; il fondo confluì nella tipografia De Rossi passando per le mani di editori come Marcello Clodio, Claudio Arbotti e Giovan Battista de Cavalleris. Il restante terzo di matrici della divisione Lafreri fu suddiviso e scisso tra diversi editori, in parte anche francesi: curioso vedere come alcune tavole vengano ristampate a Parigi da Francois Jollain alla metà del XVII secolo. Diverso percorso ebbero alcune lastre stampate da Antonio Salamanca nel suo primo periodo; attraverso il figlio Francesco, confluirono nella tipografia romana di Nicolas van Aelst. Altri editori che contribuirono allo Speculum furono i fratelli Michele e Francesco Tramezzino (autori di numerose lastre che confluirono in parte nella tipografia Lafreri), Tommaso Barlacchi, e Mario Cartaro, che fu l’esecutore testamentario del Lafreri, e stampò alcune lastre di derivazione. Per l’intaglio dei rami vennero chiamati a Roma e impiegati tutti i migliori incisori dell’epoca quali Nicola Beatrizet (Beatricetto), Enea Vico, Etienne Duperac, Ambrogio Brambilla e altri ancora.

Questo marasma e intreccio di editori, incisori e mercanti, il proliferare di botteghe calcografiche ed artigiani ha contribuito a creare il mito dello Speculum Romanae Magnificentiae, la più antica e importante iconografia della città eterna. Il primo studioso che ha cercato di analizzare sistematicamente la produzione a stampa delle tipografie romane del XVI secolo è stato Christian Hülsen, con il suo Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri del 1921. In epoca più recente, molto importanti sono stati gli studi di Peter Parshall (2006) Alessia Alberti (2010), Birte Rubach e Clemente Marigliani (2016). Le nostre schede sono elaborazioni ispirate principalmente da queste quattro pubblicazioni, integrate da commenti e correzioni per quanto non ci convince e ci è noto. 

Bibliografia

Huelsen 1921 60.a and 61a; TIB, 29.95 and 96; M.Bury, cat. 85; Bartsch XV.266.95 and .96; Witcombe, pp. 141 – 142; Marigliani, Lo Splendore di Roma…, V64 and V65.

Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO Thionville 1515 circa - Roma 1565

Nicola o Niccolò Beatricetto o Beatrice o Beatici o Beatricius o Nicolas Beatrizet Lotharingus secondo il nome originale dell’incisore nativo nel 1515 c. in Francia a Thionville nella Lorena di cui inciderà la pianta nel 1557-58. Disegnatore e bulinista, Nicola è a Roma dal 1540, o già dal 1532 come supposto dal Gori Gandellini, dove frequenta la scuola di Marcantonio e Agostino Veneziano. Il Beatricetto si dimostra subito abile nel giusto equilibrio delle linee e dei punti e nella resa delle ombre e dei mezzi toni, tanto da divenire il capo degli incisori stranieri e dei vedutisti romani. Influenzato da Agostino Veneziano e da Giorgio Ghisi, il Beatricetto sceglie i suoi modelli in Raffaello e Michelangelo. Dal 1540 il lorenese lavora per Salamanca e dal 1541 fino al 1550 per Tommaso Barlacchi e dal 1548 per Antonio Lafrery che inserirà molte sue incisioni nello Speculum. Incisore di riproduzione per eccellenza, il lorenese traduce opere di Girolamo Muziano, oltre che di artisti minori, con scene sacre e mitologiche, architetture e palazzi secondo il gusto dell’epoca. Il Beatricetto muore a Roma nel 1565. Gli stati del secondo Cinquecento recano i nomi di Claude Duchet ed eredi, Paolo Graziani, Pietro dè Nobili; nel Seicento quelli di Giovanni Orlandi, Philipp Thomassin, Gio. Giacomo dè Rossi “alla pace” e Giovan battista dè Rossi “a piazza Navona”; nel settecento il nome di Carlo Losi. Il Bartsch attribuisce al lorenese 108 stampe; 114 il Robert-Dumesnil, il Passavant 120.

Bibliografia

Huelsen 1921 60.a and 61a; TIB, 29.95 and 96; M.Bury, cat. 85; Bartsch XV.266.95 and .96; Witcombe, pp. 141 – 142; Marigliani, Lo Splendore di Roma…, V64 and V65.

Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO Thionville 1515 circa - Roma 1565

Nicola o Niccolò Beatricetto o Beatrice o Beatici o Beatricius o Nicolas Beatrizet Lotharingus secondo il nome originale dell’incisore nativo nel 1515 c. in Francia a Thionville nella Lorena di cui inciderà la pianta nel 1557-58. Disegnatore e bulinista, Nicola è a Roma dal 1540, o già dal 1532 come supposto dal Gori Gandellini, dove frequenta la scuola di Marcantonio e Agostino Veneziano. Il Beatricetto si dimostra subito abile nel giusto equilibrio delle linee e dei punti e nella resa delle ombre e dei mezzi toni, tanto da divenire il capo degli incisori stranieri e dei vedutisti romani. Influenzato da Agostino Veneziano e da Giorgio Ghisi, il Beatricetto sceglie i suoi modelli in Raffaello e Michelangelo. Dal 1540 il lorenese lavora per Salamanca e dal 1541 fino al 1550 per Tommaso Barlacchi e dal 1548 per Antonio Lafrery che inserirà molte sue incisioni nello Speculum. Incisore di riproduzione per eccellenza, il lorenese traduce opere di Girolamo Muziano, oltre che di artisti minori, con scene sacre e mitologiche, architetture e palazzi secondo il gusto dell’epoca. Il Beatricetto muore a Roma nel 1565. Gli stati del secondo Cinquecento recano i nomi di Claude Duchet ed eredi, Paolo Graziani, Pietro dè Nobili; nel Seicento quelli di Giovanni Orlandi, Philipp Thomassin, Gio. Giacomo dè Rossi “alla pace” e Giovan battista dè Rossi “a piazza Navona”; nel settecento il nome di Carlo Losi. Il Bartsch attribuisce al lorenese 108 stampe; 114 il Robert-Dumesnil, il Passavant 120.