IMP. CAES. FL. CONSTANTINO. MAXIMO...

Riferimento: S40204
Autore Anonimo
Anno: 1560 ca.
Zona: Arco di Costantino
Misure: 440 x 305 mm
750,00 €

Riferimento: S40204
Autore Anonimo
Anno: 1560 ca.
Zona: Arco di Costantino
Misure: 440 x 305 mm
750,00 €

Descrizione

Bulino, 1550/60 circa, privo di data e firma.

Copia anonima dell’incisione stampata da Antonio Lafreri, descritta da Silvia Bianchi (D31, copia B). SI distingue poiché le righe dell’iscrizione hanno lunghezza diseguale.

Bellissima prova, impressa su carta vergata coeva con filigrana "scala in uno scudo con stella" (Woodward nn. 243-254), con margini, tracce di piega di carta obliqua nella parte superiore destra, per il resto in ottimo stato di conservazione. Molto rara.

Iscrizione in alto al centro: "IMP. CAES. FL. CONSTANTINO. MAXIMO. / P. F. AVGVSTO. S. P. Q. R. / QVOD INSTINCTV DIVINITATIS MENTIS / MAGNITVDINE CVM EXERCITV SVO / TAM DE TYRANNO QVAM DE OMNI EIVS / FACTIONE VNO TEMPORE IVSTIS / REMPVBLICAM VLTVS EST ARMIS / ARCVM TRIVMPHIS INSIGNEM DICAVIT".

L’arco fu eretto fra il 312 e il 315 per celebrare la vittoria di Costantino su Massenzio nella decisiva battaglia di ponte Milvio. È da ricordare che la costruzione di un arco onorario, come monumento ufficiale per conferire gli onori alla persona del Princeps o dei membri della sua domus, era esclusiva competenza del Senato romano. Sebastiano Serlio, contemporaneo degli incisori della bottega del Lafréry, così descrive l’arco e le sue reali condizioni nel Cinquecento: «Appresso l’amphitheatro di Roma detto dal uulgo il Coliseo è un bellissimo arco molto ricco di ornamenti, e di statue, e d’historie diuerse, e fu dedicato a Constantino, e uulgarmente si chiama l’arco di Trasi. Questo bell’arco, ancora che al presente sia sepolto in gran parte per le ruine, & accrescimento di terreno; nientedimanco egli è di grande altezza, & i suoi transiti trapassano l’altezza di due quadri, e massimamente quei dalle bande. Quest’arco è bellissimo all’occhio, e molto ricco di ornamenti e d’intagli: bene è il uero che li corniciamenti non sono di molto bella maniera, quantunque siano ricchi d’intagli […]. Fu misurato col palmo antico Romano, cioè a palmo & a minuti». Ovviamente la rappresentazione grafica riflette le misurazioni dell’epoca: «Nonostante la differenza di modi, anche Serlio, come Lafréry, non fornisce rilievi esatti, in questo caso gli archi antichi, nonostante che nel testo ad accompagnare le figure vi siano misurazioni in apparenza certe» (cfr. Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento).

L’opera appartiene allo Speculum Romanae Magnificentiae, la prima iconografia della Roma antica. 

Lo Speculum ebbe origine nelle attività editoriali di Antonio Salamanca e Antonio Lafreri (Lafrery). Durante la loro carriera editoriale romana, i due editori - che hanno lavorato insieme tra il 1553 e il 1563 - hanno avviato la produzione di stampe di architettura, statuaria e vedutistica della città legate alla Roma antica e moderna. Le stampe potevano essere acquistate individualmente da turisti e collezionisti, ma venivano anche acquistate in gruppi più grandi che erano spesso legati insieme in un album. Nel 1573, Lafreri commissionò a questo scopo un frontespizio, dove compare per la prima volta il titolo Speculum Romanae Magnificentiae. Alla morte di Lafreri, due terzi delle lastre di rame esistenti andarono alla famiglia Duchetti (Claudio e Stefano), mentre un altro terzo fu distribuito tra diversi editori. Claudio Duchetti continuò l’attività editoriale, implementando le lastre dello Speculum con copie di quelle “perdute” nella divisione ereditaria, che fece incidere al milanese Amborgio Brambilla. Alla morte di Claudio (1585) le lastre furono cedute – dopo un breve periodo di pubblicazione degli eredi, in particolare nella figura di Giacomo Gherardi - a Giovanni Orlandi, che nel 1614 vendette la sua tipografia al fiammingo Hendrick van Schoel. Stefano Duchetti, al contrario, cedette le proprie matrici all’editore Paolo Graziani, che si associò con Pietro de Nobili; il fondo confluì nella tipografia De Rossi passando per le mani di editori come Marcello Clodio, Claudio Arbotti e Giovan Battista de Cavalleris. Il restante terzo di matrici della divisione Lafreri fu suddiviso e scisso tra diversi editori, in parte anche francesi: curioso vedere come alcune tavole vengano ristampate a Parigi da Francois Jollain alla metà del XVII secolo. Diverso percorso ebbero alcune lastre stampate da Antonio Salamanca nel suo primo periodo; attraverso il figlio Francesco, confluirono nella tipografia romana di Nicolas van Aelst. Altri editori che contribuirono allo Speculum furono i fratelli Michele e Francesco Tramezzino (autori di numerose lastre che confluirono in parte nella tipografia Lafreri), Tommaso Barlacchi, e Mario Cartaro, che fu l’esecutore testamentario del Lafreri, e stampò alcune lastre di derivazione. Per l’intaglio dei rami vennero chiamati a Roma e impiegati tutti i migliori incisori dell’epoca quali Nicola Beatrizet (Beatricetto), Enea Vico, Etienne Duperac, Ambrogio Brambilla e altri ancora.

Questo marasma e intreccio di editori, incisori e mercanti, il proliferare di botteghe calcografiche ed artigiani ha contribuito a creare il mito dello Speculum Romanae Magnificentiae, la più antica e importante iconografia della città eterna. Il primo studioso che ha cercato di analizzare sistematicamente la produzione a stampa delle tipografie romane del XVI secolo è stato Christian Hülsen, con il suo Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri del 1921. In epoca più recente, molto importanti sono stati gli studi di Peter Parshall (2006)m Alessia Alberti (2010), Birte Rubach e Clemente Marigliani (2016). Le nostre schede sono elaborazioni ispirate principalmente da queste quattro pubblicazioni, integrate da commenti e correzioni per quanto non ci convince e ci è noto.  

Bibliografia

C. Hülsen, Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri (1921), n. 15/d; cfr. Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento (2016), n. III.15; S. Serlio (1562), p. 106; Bianchi, Catalogo dell’opera incisa di Nicola Beatrizet, D 31, copia D; cfr. D. Woodward, Catalogue of watermarks in Italian printed maps 1540 – 1600 (1996).

Anonimo

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